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Domenico Scopelliti: "Ecco come garantisco il sorriso ai bambini"

Intervista al chirurgo maxillo facciale da anni al fianco di Operation Smile che opera i nati con malformazioni facciali. E adora la pesca d’altura.

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Ho sentito spesso in televisione parlare di Operation Smile finché non ho deciso di incuriosirmi ed incontrare un importante membro di questa organizzazione benefica.

Ho fatto qualche domanda al Dott. Domenico Scopelliti, chirurgo maxillo facciale alla cinquantaquattresima missione umanitaria. Una passione sfrenata per la pesca d'altura e l'incredibile capacità di garantire ai bambini nati con malformazioni facciali di poter cominciare a sorridere.

Partiamo da lei, quando ha deciso di fare il medico e quando ha deciso che tipo di medico voleva essere?

Volevo fare l’ingegnere ma poi ho desistito. Avevo uno zio che faceva il dentista, così decisi di seguire la sua strada, all’epoca medicina ed odontoiatria, le due facoltà erano unite.

Al terzo anno decisi di cominciare a frequentare il reparto di chirurgia generale e allo stesso tempo volevo abbracciare la branca della medicina più manuale possibile: la chirurgia.

Solitamente la carriera medica si divide nel lavoro di ricerca ed il rapporto con il paziente, io ho sempre preferito il rapporto con il paziente. Da lì cominciò la mia esperienza nella chirurgia maxillo facciale, dal 1984 al 1991 non ho fatto nemmeno un giorno di assenza.

L’obiettivo per ogni medico è quello di diventare primario. Io sono diventato primario a 37 anni, giovanissimo. Questo bruciare le tappe mi ha messo di fronte al fatto che potevo ancora crescere molto.

Mi sono cominciato a guardare intorno e a chiedermi: volevo davvero questo per me?

Mi sono reso conto che avevo bisogno di altro. Un amico mi invitò a fare un’esperienza con un’associazione umanitaria ma ero titubante. Dopo una sua opera di convincimento durata ben sei mesi, decisi di partire. Fu la mia fortuna.

Operando in condizioni estreme riesci ad avere davvero il monito sull'essere o meno diventato un buon medico. Devi misurarti con persone in difficoltà che non parlano la tua lingua, ti ritrovi in sala operatoria e devi dare delle risposte molto precise.

Proprio grazie a questa esperienza ho capito il significato vero della parola responsabilità. Quando sei lì, con i genitori che ti chiedono se puoi curare loro figlio, sei sopraffatto da una condizione di umanità estrema e devi saperti destreggiare.

 
 
 
 
 
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Lei lavora con i bambini. Quando e come ha scelto che sarebbero diventati la sua ragione di vita?

La scelta di curare i bambini fa parte di un lungo percorso esperienziale. Il mio interesse nasce nel conoscere le storie mediche di adulti operati in infanzia e analizzare il loro iter post operatorio.

Nel corso degli anni, poi, ho cominciato ad operare anche dei bambini e questo mi ha concesso di avere una duplice esperienza.

Ho capito che quello che conta per una patologia che comporta una malformazione facciale è il percorso e non solo l’intervento iniziale, che ha il 15% dell’importanza. L'obiettivo è che i bambini nati con questa problematica, conosciuta comunemente come labbro leporino, riescano dopo l’operazione ad integrarsi nella società.

Vogliamo che riescano a mangiare, a parlare, a relazionarsi con la gente proprio come tutti gli altri.

 
 
 
 
 
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Cos’è Operation Smile? Come lei interviene al suo interno?

Operation Smile è stata fondata negli Stati Uniti nel 1982 ad opera di un chirurgo plastico e di sua moglie infermiera, dopo aver fatto un viaggio nelle Filippine per conoscere più a fondo il problema del labiopalatoschisi.

Iniziarono ad operare i primi bambini, ma il numero dell’incidenza della malattia aumentava sempre di più. Proprio per questo decisero di formalizzare la loro organizzazione e di intraprendere questa esperienza internazionale.

Nel 2000 dall’Italia ci siamo affiliati ad Operation Smile. All'inizio si organizzava un team e si andava in missione, ma riuscivamo a rispondere a pochi casi rispetto all’incidenza della patologia.

Vi basti pensare che solo in Asia, ogni tre minuti nasce un bambino con questo genere di malformazione facciale. Abbiamo quindi deciso di formare anche i medici locali in modo da riuscire ad effettuare operazioni con maggiore frequenza e non solamente una volta l’anno in occasioni delle missioni umanitarie.

Da parte di Operation Smile viene effettuato un controllo della qualità di queste attività locali. Noi non trattiamo l’emergenza ed abbiamo bisogno che tutto sia minuziosamente effettuato miratamente, per ridurre qualsiasi genere di rischio derivante dell’operazione.

Sorridere è un gesto spontaneo, ma per molti non è possibile farlo. Quali sono i risvolti psicologici nei bambini dopo i suoi interventi?

I risvolti psicologici sono tantissimi, come le dicevo c’è un vero e proprio iter da seguire. Durante la mia carriera ho operato tantissimi bambini, ma c’è una storia che mi ha colpito maggiormente.

Ho operato un bambino di soli quattro mesi a bordo della Porta Aerei Cavour a Taranto (che in accordo con la Marina Militare utilizziamo una volta al mese per assistere i bambini italiani di area centro meridionale).

All’età di 3/4 anni, dopo aver sviluppato un minimo di coscienza critica, guardando la cicatrice sul labbro ha raccontato alla madre di sapere il perché di quel segno sul suo volto.

Ha raccontato di aver giocato con un drago cattivo quando si trovava nella pancia della mamma e che era stato proprio lui a graffiarlo. Fortunatamente era su una nave ed un esercito di super eroi lo ha aiutato a curare la ferita.

La mamma ha trasformato questo commovente racconto in una vera e propria favola: “Il graffio del drago”.

 
 
 
 
 
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Qual è l’operazione che ricorda con maggiore gioia?

Ogni missione ha un bambino speciale. L’empatia in quelle occasioni è un dono fondamentale. Ci interfacciamo con popolazioni o tribù che parlano lingue sconosciute anche agli interpreti.

In quel caso diventa fondamentale la comunicazione non verbale fatta di sguardi e di sorrisi. È proprio quello il momento in cui si creano rapporti speciali tra medico e paziente.

 
 
 
 
 
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C’è un bambino, o una storia, che le è rimasta impressa?

Sì, quando ho operato un paziente di 13 anni che era a sua volta alla seconda operazione. Il ragazzo non riusciva a parlare bene ma aveva il sogno di diventare cantante. Ovviamente non riponeva la minima speranza nel raggiungimento del suo obiettivo visto l’impedimento nella parola. In ogni caso lo operai.

Dopo qualche anno, nel 2004, mi trovavo in missione in Cina per una missione e misi in TV il canale Rai International per vedere un’intervista che avevo rilasciato poco prima della partenza. Mentre guardavo la trasmissione mi arrivò una telefonata.

Lo stesso ragazzo che avevo operato anni e anni prima, era riuscito a reperire il mio numero di telefono tramite il programma TV: si trovava a Mosca e faceva il cantante!

 
 
 
 
 
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Una sua passione extra medicina?

Io sono un pescatore prestato alla chirurgia. La pesca per me non è una passione ma una malattia. Sono campione italiano di traina d’altura e ho partecipato anche ai campionati mondiali arrivando terzo insieme alla mia squadra.

Siamo abituati a vedere bambini affetti da labiopalatoschisi negli spot televisivi esclusivamente in Africa. Quanto è diffusa questa malformazione anche in occidente?

Ci sono sicuramente paesi più esposti all’incidenza di questa malformazione poiché è un vero e proprio errore di sequenza genica. Ci sono etnie con maggiore predisposizione.

Tuttavia non è diffusa solo nei paesi del terzo mondo, basti pensare che in Italia ogni anno c’è un caso ogni mille nati e negli Stati Uniti ogni novecento. In Asia uno ogni 400, praticamente il doppio.

La diagnosi pre natale è sicuramente fondamentale in quanto prepara la coppia di genitori a capire come intervenire per risolvere il problema e curare loro figlio una volta venuto al mondo.

 
 
 
 
 
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La campagna sms di Operation Smile è molto importante. Può spiegare ai nostri lettori cosa implica ogni singolo messaggio?

Ogni messaggio sosterrà economicamente i due progetti che abbiamo deciso di seguire quest’anno.

Essendo il nostro un progetto internazionale scegliamo ogni anno un paese da adottare ed a cui offrire questo genere di cure alle quali senza il nostro aiuto non potrebbe accedere. Quest’anno abbiamo scelto il Nicaragua.

Il progetto Smile House. È un sistema virtuoso grazie al quale riusciamo a seguire tutto il percorso terapeutico, dalla diagnosi pre natale, all’intervento, al momento di integrazione nella società.

In Italia invece sosterremo questo modello di rete assistenziale che concentra negli hub chirurgici, con sede a Milano, Vicenza e Roma, la fase chirurgica. Al tempo stesso risolviamo il problema della migrazione sanitaria, una famiglia non può girare l’Italia per la fase post operatoria, quindi stiamo creando una rete di ambulatori periferici in prossimità delle residenze dei pazienti.

Sono molto orgoglioso di quello che stiamo facendo con Operation Smile, siamo all’avanguardia. Uno degli ultimi progetti in collaborazione con la Fondazione Vodafone, ancora in fase sperimentale, riguarda la creazione di una cartella clinica digitale su cui tutti i medici durante l’iter terapeutico possono approcciare, creando una storia clinica del paziente accessibile a tutti.

 
 
 
 
 
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Quali sono i suoi progetti futuri e quelli di Operation Smile?

Per quello che mi riguarda, dopo la pandemia andrò a Capo San Lucas in Messico per un paio di mesi. Mi dedicherò alla pesca d’altura e chi avrà bisogno di essere operato da me potrà farlo a titolo del tutto gratuito.

Per quello che riguarda Operation Smile, la nostra volontà in collaborazione con il Ministero della Salute è quello di strutturare sempre di più il progetto Smile House.

Non dimenticati di sostenere Operation Smile inviando un sms allo 45582 o chiamando da rete fissa il 45582 dal 1 aprile al 9 maggio.