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Il DDL Zan e la fine dei compromessi

È ora che l’Italia prenda una posizione netta e di rottura sulle tematiche legate a diritti e discriminazioni

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Un post condiviso da Alessandro Zan (@alessandro.zan)

Se dovessimo delineare con un’immagine le discussioni legate alla recente storia dei diritti LGBT+ in Italia potremmo disegnare  un tracciato di montagne russe: ci sono dei momenti in cui la vettura sale, percorre picchi altissimi, sembra quasi toccare il cielo, altri momenti in cui discende a tutta velocità e pian piano rallenta il suo corso fino a fermarsi su un binario essenzialmente piatto.

C’è tam tam mediatico, se ne parla, si protesta, eppure spesso sembra che dopo un periodo di fermento tutto precipiti in una sorta di limbo e poi cala il silenzio, con questo ciclo che si ripete periodicamente.

E spesso se si ottiene una vittoria (già una sorta di miracolo) è sempre una vittoria un po’ stropicciata: è il caso delle Unioni Civili, un progetto presentato inizialmente nel 1986 (pare un’era geologica fa) e poi successivamente riproposto in varie forme e da diversi schieramenti politici fino ad essere poi approvato nel 2016 con il disegno di legge Cirinnà. Approvato certo, ma si potrebbe notare che da questo disegno rimane esclusa una tematica importantissima come quella dell’adozione  e l’effettiva equiparazione con il matrimonio egualitario.

Analoga vicenda per il DDL Zan, disegno di legge presentato dal deputato PD Alessandro Zan e volto a tutelare le persone LGBT+ da crimini d’odio: un primo tentativo lo aveva fatto Franco Grillini nel 2002, seguito da altre proposte, sempre decadute, per poi finalmente approdare nel luglio 2020, con il DDL Zan, che nel dettaglio riprende la base della già vigente Legge Mancino, volta a punire le discriminazioni religiose, politiche e razziali e aggiunge aggravanti per orientamento sessuale, genere e identità di genere.

Dopo vari rinvii (strano) il testo viene approvato dalla Camera e di fatto rimane fermo, bloccato in Senato dopo che la Lega e altre forze del centrodestra lo hanno definito “poco prioritario”.

 
 
 
 
 
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Un post condiviso da Acrimònia Magazine (@acrimoniamagazine)

Questa vicenda ha generato un grandissimo moto di protesta, forse per la prima volta in Italia: tantissimi personaggi, dal mondo della cultura, dello spettacolo, della moda, della politica si sono schierati a favore del DDL, che è stato letteralmente lanciato al centro del dibattito pubblico. Forse per la prima volta le tematiche legate alle minoranze LGBT+ sono diventate pop.

 
 
 
 
 
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Un post condiviso da Donatella Versace (@donatella_versace)

Allo stesso tempo, dall’altra parte della barricata si sono alzate tutta una serie di voci molto arrabbiate e molto indignate che vedono questa legge come una terribile minaccia a una presunta libertà di espressione e che sostengono di voler fare gli interessi delle persone LGBT+ (quale cortesia), che verrebbero in questo modo considerate come delle “categorie speciali” ma che in realtà non hanno bisogno di protezione, perché una discriminazione non esiste.

Ma è davvero così? Possiamo parlare di libertà di espressione, quando questa presunta espressione arriva a negare l’esistenza stessa di intere categorie di persone? Forse no. E trovo che ci sia qualcosa di decisamente bizzarro nelle posizioni di questi soggetti, che disprezzano apertamente le minoranze e probabilmente vorrebbero vederle sparire dalla faccia della terra: se le loro esistenze sono così ininfluenti perché perdono così tanto tempo a discuterne e a indignarsi, quando sono effettivamente non li riguardano? Tutto molto strano.

E non si tratta di creare categorie speciali, che meritano la protezione, come panda in una riserva.

È assolutamente un dato di fatto che in Italia l’omofobia sia un problema ben radicato nella cultura della nostra società a ogni livello, una società ancora fortemente sessista e patriarcale (una combo micidiale) e rappresentiamo spesso il fanalino di coda nell’UE per quanto riguarda i diritti Rainbow (nel rapporto dell’Agenzia europea dei diritti fondamentali l’Italia è fra i primi paesi con il tasso di discriminazione più alto).

Come se non bastasse, recentemente la cronaca è piena di casi di violenze rivolte a persone proprio a causa del loro orientamento sessuale.

 
 
 
 
 
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Un post condiviso da Beppe Sala (@beppesala)

Le minoranze sono tali perché rappresentano solo una parte del corpo collettivo della società, ma allo stesso tempo ne fanno parte, fanno sì che possa esistere. Per chi come me è nato e cresciuto negli anni 90, scoprirsi “diverso” e guardarsi intorno alla ricerca di riferimenti e modelli da seguire è stata un’esperienza carica di solitudine: tanto silenzio e ad essere generosi qualche parola e un alone di trasgressione e condanna.

Le persone LGBT+ sono state a lungo considerate “altro”, rispetto alla norma, una categoria di persone non persone, la cui esistenza è uno spazio negativo e al massimo di vergogna o di ridicolo.

Oggi, piano piano, faticosamente, si sta iniziando a vedere la situazione per quello che è: minoranza, ma minoranza che forma la maggioranza, che può essere chiunque, che è la persona che incontri per strada, con cui fai amicizia, a cui ti rivolgi per lavoro. È una persona. Fatta diversamente per certi aspetti, ma può essere chiunque e merita i diritti di chiunque. Senza compromessi e senza saliscendi.

 
 
 
 
 
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Un post condiviso da Acrimònia Magazine (@acrimoniamagazine)