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Il caso Denise Pipitone e il grande circo televisivo

Quando al peggio non c’è mai fine

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Siamo una società che vive dentro il teleschermo. Da quando il teleschermo esiste. E ne siamo completamente schiavi, totalmente anestetizzati, privati di qualsivoglia capacità critica.

Il problema non è italiano, locale. Il problema è mondiale. Il grande circo televisivo ci avvolge, ci travolge, ci stravolge senza soluzione di continuità. Ci nutriamo di ogni cosa il teleschermo vomiti. E ci piace moltissimo farlo.

Prendiamo ad esempio l’ultimo caso di spettacolarizzazione del dolore. Quello che ha visto protagonisti la principale emittente televisiva russa e le due reti ammiraglie del nostro paese, Rai 1 e Canale 5.

La storia è quella di Denise Pipitone, la bambina scomparsa il primo settembre 2004 all’età di 4 anni, mentre giocava davanti alla casa della nonna a Mazara del Vallo. Una storia drammatica, periodicamente oggetto di attenzione dei mezzi di comunicazione.

 
 
 
 
 
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La storia di una mamma che perde la propria figlia senza sapere più niente di lei: svanita nel nulla, si sussurra, senza alcuna prova, per opera di un famigerato gruppo rom.

La storia di una sorellastra, finita sotto processo con l’accusa di aver favorito la scomparsa della bambina e assolta in via definitiva dalla Cassazione dopo una maratona giudiziaria capace di devastare il sistema nervoso di qualsiasi essere umano.

La storia di un padre naturale privato della sua primogenita e di un padre acquisito finito al centro di una tempesta emotiva che non conosce ancora fine.

Bene: a distanza di 16 anni e mezzo sulla tv russa compare una ragazza, Olesya Rostova, che mostra una certa somiglianza con la mamma di Denise, Piera Maggio e racconta di essere orfana e di non ricordare nulla dei primi quattro anni della sua vita.

 
 
 
 
 
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Il programma è una specie di “Chi l’ha visto?” in salsa moscovita. La ricostruzione è sommaria ma perfetta per essere cavalcata televisivamente e catturare l’attenzione del pubblico.

Gli autori montano la novella in modo magistrale: viene coinvolta la famiglia di Denise, l’avvocato Giacomo Frazzitta che la rappresenta e, attraverso una serie di indizi, diffusi con tempi da melodramma, lo spettacolo prende forma, appassiona, cattura, seduce il pubblico russo. E in un crescendo sinfonico quello italiano.

 
 
 
 
 
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Perché anche la nostra tv si butta a capofitto con i talk show pomeridiani che incalzano giorno dopo giorno, ripropongono il romanzo di Denise, scandagliano telecamere e inviati alla ricerca dei testimoni della vicenda e tempestano i teleschermi con il drammone che riesce a cancellare per qualche ora le miserie di una nazione messa in ginocchio dalla pandemia.

L’onda s’ingrossa sempre di più e la storia finisce nei tg principali, sulle prime pagine dei quotidiani, nelle sezioni principali dei rotocalchi e nelle trasmissioni di approfondimento.

Olesya Rostova è Denise Pipitone? La domanda rimbalza con forza e sempre maggiore solennità sull’asse Roma-Mosca. Ne dibattono medici, editorialisti, prime donne, sapienti e saltimbanchi. Ognuno con le sue certezze, ognuno con le sue verità. Lo spettacolo è assicurato. E va avanti fino al momento in cui, come per magia, il tendone del grande circo inizia a sgonfiarsi.

Attenzione signori: è il momento di confrontare il gruppo sanguigno di Denise e Olesya. Un altro paio di giorni, tanto per tenere su l’attenzione e sul canale russo va in onda la puntata decisiva alla quale partecipa anche il legale della famiglia italiana, già al corrente del risultato ma legato da un patto di riservatezza con l’emittente di Mosca.

Fermi tutti: il gruppo sanguigno non coincide. “Una buffonata mediatica” sentenzia Alberto Di Pisa, l’ex procuratore di Marsala che indagò sul caso.

 
 
 
 
 
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Fine della trasmissione. Il Circo cambia programma. Gli operai smontano le tende. Trapezisti, animali, prestigiatori, clown e nani salgono sui camion. Gli autisti mettono in moto. Ci vediamo alla prossima.

Morale della favola? Per farsi un’idea di come siamo messi, ai lettori di Acrimònia proponiamo uno stralcio di un articolo che Pierpaolo Pasolini scrisse sul Corriere della Sera il 9 dicembre 1973, poco meno di 48 anni fa, nel quale si soffermava sul ruolo della televisione nella società italiana.

(…)Essa non è soltanto un luogo attraverso cui passano i messaggi, ma è un centro elaboratore di messaggi. È il luogo dove si concreta una mentalità che altrimenti non si saprebbe dove collocare.

È attraverso lo spirito della televisione che si manifesta in concreto lo spirito del nuovo potere. Non c'è dubbio (lo si vede dai risultati) che la televisione sia autoritaria e repressiva come mai nessun mezzo di informazione al mondo.

Il giornale fascista e le scritte sui cascinali di slogans mussoliniani fanno ridere: come (con dolore) l'aratro rispetto a un trattore. Il fascismo, voglio ripeterlo, non è stato sostanzialmente in grado nemmeno di scalfire l'anima del popolo italiano: il nuovo fascismo, attraverso i nuovi mezzi di comunicazione e di informazione (specie, appunto, la televisione), non solo l'ha scalfita, ma l'ha lacerata, violata, bruttata per sempre.