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I Giochi Olimpici e il fattore umano

Il fattore umano ha tradito le aspettative di molti ma ha ridato dignità a molti ragazzi/e a cui si chiede sempre e solo di vincere. In fin dei conti la più struggente nostalgia non riguarda tanto il passato vissuto ma piuttosto quel che poteva essere e non è stato.

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Come si diceva negli anni '70: “Non c’è bisogno del numero di matricola, io sono Hutch e lui e Starsky”

Così come, oggi, non c’è bisogno del cognome, per tutti noi sono: Federica, Aldo, Lucilla, Gregorio, Marcell, Gianmarco, Vanessa e tutti gli altri atleti che gareggiano in questa anomala Olimpiade, in quel del Sol Levante. Siamo loro tifosi, entriamo in empatia, esultiamo e soffriamo quando sono in gara, come fossimo lì.

 
 
 
 
 
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Un post condiviso da MARCELL JACOBS (@crazylongjumper)

Arrivare ad un’olimpiade è di per se un viaggio fatto di mille sacrifici, ore e ore di allenamenti giornalieri. Spesso sono giovanissimi che si privano della socialità comune ai loro coetanei: scuola e campo, campo e scuola. Prima di tutto atleti: normali, campioni, fuoriclasse; nel loro spogliatoio sono tutti alla pari e come nelle migliori fiabe: “Uno per tutti, tutti per uno”. In fin dei conti la medaglia è solo un dettaglio perché quello che conta è il “viaggio” non la destinazione. O almeno così ci insegna Kerouac.

 
 
 
 
 
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Un post condiviso da Vanessa Ferrari (@ferrarivany)

Vero è che un’olimpiade quasi mai viene considerata un percorso “On the Road”, piuttosto viene vissuta con l’isteria del risultato e quando questo arriva, leggi medaglia, spesso si è delusi se non corrisponde all’oro. Titoli di giornali, commenti (poco) sportivi, sempre pronti a mettere in croce gli atleti se le prestazioni non combaciano con la narrazione desiderata.

Sorprende che il Presidente del Coni, Giovanni Malagò, si sia accodato alla più becera stampa, parlando di ambiente da ricostruire, riguardo alla scherma e di “grandissima amarezza” per l'eliminazione ai quarti della squadra di fioretto. Sorprende ancor di più che essendo un autentico uomo di Sport, sfrutti una medaglia d’oro e “la butti in politica”, invocando lo ius sportivo che ora è cosa delicata e poi riguarda tutti ragazzi, non solo gli sportivi.

 
 
 
 
 
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Un post condiviso da HALFSHAVE (@gianmarcotamberi)

Stampa che si permette titoli come: “Harakiri del fioretto a squadre donne”, dopo che le azzurre hanno conquistano il bronzo, “La maledizione dell’oro olimpico – l’Italia colleziona argenti e bronzi ma facciamo fatica a salire sul gradino più alto del podio”, con sommo spregio per quattro anni di lavoro e sacrifici; fino al disgustoso “Andarci vicino conta solo a bocce”. Stampa, quella americana, che con il Washington Post ha la volgarità di addossare l’ombra del doping sulle medaglie italiane, scordando che Ben Johnson, Melanie Griffith, per non parlare di quello schifoso di Lance Armstrong, sono robaccia loro. Qui si che ci vogliono i cognomi!

Anomala, si diceva. Un’olimpiade che svolgendosi con un anno di ritardo, a causa della pandemia, ha mandato vane molte tabelle di allenamento e di conseguenza tutto il calcolo dei bioritmi, (fisici, emozionali, intellettuali) che sono alla base dello Sport moderno. Mai come a Tokyo si è registrato un calo psichico per così tanti atleti: dalla Pilato alla Quadrella, da Fognini allo stesso Djokovic, per arrivare allo scioccante caso di Simone Biles, già ampiamente analizzato.

 
 
 
 
 
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Un post condiviso da Fabio Fognini (@fabiofogna)

Il fattore umano ha tradito le aspettative di molti ma ha ridato dignità a tanti ragazzi/e a cui si chiede sempre e solo di vincere. D'altronde la più struggente nostalgia non riguarda tanto il passato vissuto ma piuttosto quel che poteva essere e non è stato.

Finita questa kermesse inizieranno, il 24 agosto, le Paralimpiadi. L'Italia si presenterà in Giappone con il più alto numero di atleti da quando partecipa ai Giochi Olimpici: 113 azzurri impegnati in 16 discipline e con una netta maggioranza femminile. Un risultato storico per il Presidente del Comitato, Luca Pancalli; autentico uomo di Sport e raffinato manager a cui dobbiamo, tra l’altro, la vittoria del Campionato del mondo di calcio nel 2006, ai quali lavorò ancor prima di diventare Commissario straordinario della FIGC.

 
 
 
 
 
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Un post condiviso da Beatrice Vio (@bebe_vio)

Ci saranno i due porta bandiera: Bebe e Federico assieme a Veronica e Lorenzo, Katia e Andrea e tanti altri giovani e meno giovani, ma come sempre: prima di tutto atleti!