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Donne al potere, l’incontro dell’Italia che (non) cambia

Primo confronto tra Meloni e Schlein: sul tavolo la scelta tra premierato e sindaco d’Italia, la riforma istituzionale che torna utile per parlare d’altro. Come sempre

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C’è stato un felice periodo di fine Seconda repubblica in cui venne coniato, chissà da quale politico o commentatore, il benaltrismo, riferito alla sapiente arte del rimando ad altro utilizzata per distogliere l’attenzione dal “qui ed ora” per concentrarsi invece sul “forse, tra 10 anni”. Una raffinata strategia che consente di non affrontare le questioni immediate e concrete per dedicare invece tempo, spazio e attenzione mediatica a progetti altisonanti quanto lontani nel tempo, del buon esito dei quali nessuno sarà mai chiamato a rispondere.

Rientra a pieno titolo nella categoria il confronto che ha riguardato anche le recenti riunioni tra la Presidente del Consiglio dei ministri e i rappresentanti dei partiti. Se l’incontro con la segretaria Pd Elly Schlein ha attirato attenzioni e curiosità per la contingenza di due donne che guidano partiti e rivestono ruoli di responsabilità – evento abbastanza inusuale in Italia – l’argomento delle divergenze pare essere ancora più allettante: le riforme istituzionali.

 
 
 
 
 
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D’improvviso la forma di Governo del Paese è diventata una priorità, così come la costruzione del Ponte sullo Stretto, altra fantastica freccia dell’arco benaltrista. In entrambi i casi si potranno impiegare 3 o 4 anni a decidere se è preferibile il premierato, il modello tedesco o il Sindaco d’Italia, se le campate devono essere una o due, se i piloni devono essere galleggianti o volanti. Tanto, quando tra 10 anni si vedranno gli effetti di entrambe le scelte nessuno ricorderà più chi le ha volute. Ed anche gli elettori con una memoria da elefante poco potranno fare, visto che i responsabili politici saranno già passati ad altro impegno.

Sia come sia, ora ci si deve concentrare sulle riforme istituzionali. Di solito questo filone viene affrontato sulla scia dell’esigenza di stabilità, che prevede anche un bel capitolo dedicato alla legge elettorale. Già sono partiti i convegni di alto livello, con studiosi di fama e professori universitari che trascorreranno ore interminabili a citare esperienza, pregressi e architetture istituzionali complesse. Peraltro inutilmente. Perché l’esigenza da assecondare non è, come non è stata nelle precedenti legislature, garantire un governo migliore all’Italia. L’obiettivo, da perseguire magari attraverso una Bicamerale o altre alchimie di Palazzo, è che chi detiene la maggioranza oggi possa trovare minori difficoltà nel conservarla domani. Che poi il sistema ipotizzato e messo in cantiere per diventare operativo tra due o tre legislature funzioni davvero è solo un dettaglio. E chi sarà maggioranza tra 10 anni deciderà come sbrigarsela.

 
 
 
 
 
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Un post condiviso da Palazzo Chigi (@palazzo_chigi)

Non a caso, i protagonisti dell’era in cui si sosteneva che l’Italia fosse pronta per il bipolarismo e che bastavano due schieramenti (con annesse riforme istituzionali appositamente realizzate) sono svaniti, forse travolti dalla macerie politiche del Pdl e del Pd. Ma, oggi come allora, invece di rilanciare il timore sull’esistenza di un piano segreto per consentire il ritorno della dittatura o di dare spazio a queste “riforme di distrazione di massa” sarebbe probabilmente più utile, per gli attori istituzionali di peso, evitare di fornire qualunque supporto a certe divagazioni istituzionali richiamando invece i partiti che hanno ottenuto la fiducia della maggioranza degli italiani a dimostrare di averla meritata.