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Chi sostenere negli acquisti online durante la pandemia?

Il punto di vista di Claudia, manager e visual merchandiser di un e-commerce monobrand

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Il tema del comprare online è diventato, in questo ultimo mese, non solo una questione economica ma anche morale. É giusto continuare a comprare on line? Devo? Posso?

Questi due verbi permettono due strade: il “devo” cela un imperativo morale, devo farlo perché devo aiutare il brand a rimanere vivo, a poter dare lo stipendio a chi lavora e si impegna tutto l’anno per poter far uscire una collezione o un prodotto nuovo.

“Posso” implica, invece, un giudizio di fondo da parte degli altri. Se compro, allora potrei sentirmi giudicato, le persone potrebbero dirmi di essere superficiale, di non saper riconoscere le priorità nella vita, di sentirmi dire che la gente sta morendo e che io, invece, penso a comprare una crema o un paio di pantaloni.

Potremmo dire che entrambe le strade possono essere considerate giuste moralmente. Compro perché voglio aiutare o rifletto se comprare perché, eticamente, ritengo giusto aspettare.

Ci sarebbero diverse soluzioni però.

Innanzitutto facendo una distinzione tra piccoli-medi e grandi brand.

Il mondo on line, degli e-commerce è il mondo a cui i brand si stanno aggrappando con le unghie e con i denti. É questo, soprattutto per i marchi piccoli e medi, l’unico vero sistema che gli permette di sopravvivere ora?

Perché, lo vogliamo o no, ora si tratta di sopravvivenza. Scegliere di comprare online non è sbagliato o non etico. Sarebbe, però, secondo il mio punto di vista, più etico comprare direttamente sugli e-commerce di piccoli brand o, in generale, sugli e-store ufficiali dei brand. Questo significa mantenere in vita direttamente chi ha creato quel prodotto e i suoi dipendenti.

In quella crema, in quel blazer o in quella t-shirt, ci sono spesso un anno/un anno e mezzo di lavoro. Lo studio del colore, lo studio del tessuto, la scelta del tessuto, il fit, la produzione, la creazione del materiale fotografico, la messa online, etc...

In ogni passaggio di creazione e di produzione ci sono ore di lavoro di tante persone.

Parlando delle grandi maison, quelle che possono permettersi di farlo, invece, stanno basando la loro comunicazione digital non tanto sui propri prodotti (intelligentemente) ma cercando di mantenere vivo il proprio nome. Quindi, stanno facendo, semplicemente delle azioni di branding.

Moncler, per esempio, invia newsletter con messaggi di positività accoppiati alla possibilità di permettere agli utenti di visitare gli archivi dei loro capi più famosi.

 
 
 
 
 
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Apart but together. Tomorrow we begin a series of messages sharing warmth to the world by posting a retrospective about time spent together, time spent reflecting and time spent at home. #WarmlyMoncler #TOGETHER

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Gucci, Armani, Bulgari, invece, hanno riconvertito la loro produzione e ora producono mascherine, tute per il personale sanitario e gel igenizzante. Si stanno, anche, occupando di raccogliere fondi per ospedali e per la protezione civile. The Attico, ormai rinomato brand ma di grandezza media, dal 4 aprile ha rimesso in vendita sul suo e-store le collezioni SS19 e alcuni pezzi della FW19. Il ricavato verrà donato agli ospedali e alla Protezione Civile. Un modo per aiutare, ma anche per rimettere in circolo del prodotto e agire sulle rimanenze di magazzino che, mai come adesso pesano sulle aziende.

 
 
 
 
 
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We are live! #TheAtticoDoorIsOpen #DoorIsOpen

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Il mondo della moda non sembra, quindi, per niente essersi fermato, anzi, la loro immagine per queste azioni si sta rafforzando.

Dopo tutto questo non siamo qui per dire che cosa sia giusto comprare o no ma forse è meglio riflettere da chi compriamo quel prodotto

A volte un abito, una t-shirt non sono solo un pezzo di stoffa, forse sono un’ancora di salvataggio per qualcuno e anche un po' per noi stessi.