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Allarme Greenwashing: la sconfitta di H&M al Copenaghen Fashion Summit

Johann Rockström vs. Helena Helmersson (CEO of H&M) al Copenhagen Fashion Summit. L’analisi dell’esperto di sostenibilità Matteo Ward di WRÄD sul perché la Helmersson esce sconfitta da questa talk.

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Qualche giorno fa si è svolto uno degli eventi più importanti di moda sostenibile, il Copenaghen Fashion Summit.

La presentazione del 2020 è stata criticata da molti esperti di sostenibilità e dall’opinione pubblica perché nessuno dei brand partecipanti ha affrontato la dimensione sociale.

Infatti la crisi dovuta al Covid-19 ha aggravato la situazione di lavoratori sottopagati che spesso producono i prodotti che acquistiamo ai prezzi molto competitivi della fast fashion. Si stima che tra i 3 e i 5 miliardi di dollari in pagamenti siano ancora in sospeso a seguito degli ordini annullati dalle varie aziende a causa della pandemia mondiale.

Tra i vari talk, particolarmente interessante quello tra il professor Johan Rockström, direttore del Potsdam Institute for Climate Impact Research tra i massimi esperti di sostenibilità, ed Helena Helmersson, CEO di H&M.

Matteo Ward è il giovane CEO e co-fondatore di WRÅD, una start-up innovativa e uno studio di design dedicato all’innovazione sostenibile che promuove anche il cambiamento sociale. Attraverso delle stories su Instagram, Matteo ha analizzato il talk tra Rockström e la Helmersson, portando alla luce il fallimento di quest’ultima nel rispondere in maniera convincente alle domande rivolta da Rockström, che in fondo, sono quelle che tutti gli esperti si pongono.

Rockstrom è colui che nel 2009 presentò al modo il modello de “I 9 Confini Planetari”, “The Nine Planetary Boundaries”, in risposta alla domanda: quali sono i limiti alla crescita infinita che tutte le aziende stanno perseguendo?

Il tempo scorre e la situazione del pianeta è sempre più grave. Rockström riporta una scadenza di soli dieci anni per cambiare le cose, dimezzare le global emissions e stoppare la perdita della biodiversità.

Il messaggio è tanto duro quanto chiaro: non basta rallentare, compensare, dobbiamo cambiare completamente traiettoria. Bisogna rivoluzionare il sistema.

La Helmersson annuisce senza rispondere con indicazioni concrete sul ruolo che H&M dovrebbe rivestire, promettendo solo di diventare climate positive entro il 2040. Ma cosa significa esattamente?

 
 
 
 
 
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Già in passato H&M si è ripetutamente macchiato della colpa di fare “greenwashing”, che significa investire in un marketing che faccia apparire green senza poi esserlo di fatto. In parole semplici, salvare le apparenze, piuttosto che attuare pratiche di business con il minor impatto ambientale possibile.

Più avanti nel talk, Helena Helmersson si pone una domanda chiave. Si chiede, come possiamo noi come azienda così grande influenzare il comportamento dei consumatori? Sicuramente, risponde Matteo, una comunicazione pubblicitaria onesta sarebbe un ottimo primo passo.

Difatti stando alle parole del CEO di Wräd, il sito così come le campagne pubblicitarie di H&M sarebbero piene di “bugie” per apparire migliori di come realmente sono in termini di sostenibilità. Quando ad esempio indicano che il loro nylon e il loro poliestere sono riciclati, perché allora non ne indicano provenienza e costo sociale?

 
 
 
 
 
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Rockström rivolge la sua attenzione ad un punto critico che l’industria della moda (e non solo) dovrà affrontare, ovvero: rivedere il concetto di crescita. Growth deve includere non solo il net income dell’azienda, ma anche il costo umano, sociale, ambientale. Tutte le risorse che prendiamo dalla biosfera costano, letteralmente, e di conseguenza vanno considerate nel bilancio finale.

La Helmersson annuisce, ma rivolge la sua attenzione altrove, ai business models. Persino il suo body language è suo nemico: sembra rilassarsi solo quando si parla di business e profitti, piuttosto che di sfide.

Rockström parla infine della pandemia come occasione per comprendere a pieno quanto sia tutto collegato e riuscire finalmente a integrare salute, sostenibilità e giustizia sociale.

La Helmersson ancora una volta non da risposte, ma pone nuovi interrogativi: cosa può fare H&M? Se chiudessero, la domanda diminuirebbe, i lavoratori perderebbero il loro lavoro e di conseguenza la sicurezza sociale…

Matteo, demoralizzato, propone tre soluzioni: pagare i lavoratori per tutti gli arretrati, soddisfare la promessa fatta nel 2013 di garantirgli un living wage soddisfacente e infine includente il capitale sociale-umano nei loro conti.

La conclusione è deludente. Se un’azienda importante come H&M è tutto chiacchiere e poca sostanza, cosa dobbiamo aspettarci dall’industria della moda?

 

 

Photo by Edward Howell on Unsplash