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A Kabul un assedio senza logica

I misteri di una ritirata disastrosa e la cecità di una narrazione che non s’interroga sui clamorosi errori degli occidentali e dei talebani stessi. Cosa sta succedendo davvero a Kabul dopo l’attentato suicida all’aeroporto? Tutti gli interrogativi che non trovano risposta

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Una vecchia massima dice: “Se proprio devi fare una cazzata, falla grossa!” Ci permettiamo di aggiungere: “Soprattutto falla bene”.

Comunque la si pensi, la repentina uscita degli americani e di conseguenza di tutta la compagine Nato è un fatto di portata enorme. Purtroppo le modalità di uscita si stanno rivelando disastrose. Questo è un fatto!

Ed è questo tipo di presunta impreparazione che lascia perplessi, a cominciare dalla tempistica, tant’è che l'analista americano Robert Kaplan, stronca il ritiro delle truppe USA: “Dovevamo andare via, ma non in quel modo. Bisognava aspettare l'inverno, quando la neve copre il Paese, rendendo difficili le grandi offensive e andavano coinvolte Russia e Cina nei negoziati con i talebani molto tempo fa...”

 
 
 
 
 
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Se a livello diplomatico Kaplan ha assolutamente ragione, tanto più grave è che in materia logistica-militare non siano stati coinvolti gli italiani; il nostro contingente è dotato di due reparti di eccellenza che tutte le forze Nato ci invidiano: Il Corpo degli Alpini e i Carabinieri. Il primo ha l’eccezionale addestramento di saper muoversi per terreni più che scoscesi e l’Afghanistan ne è pieno, il secondo ha una capacità di dialogo che deriva dalla sua secolare ramificazione nel territorio.

Nel preparare una via d’uscita “pulita, sicura e silenziosa” il loro apporto sarebbe stato preziosissimo, soprattutto nell’evacuazione degli afgani in pericolo, per aver collaborato con le varie ambasciate.

Che gli americani si volessero sganciare dal quel territorio impervio era cosa nota fin dai tempi di Barak Obama, che Trump abbia rettificato l’uscita, tramite gli accordi di Doha sanciti dall’allora segretario di Stato USA, Mike Pompeo e il numero due dei Talebani, il mullah Abdul Ghani Baradar, rientra nelle sue legittime prerogative; era il 29 febbraio del 2020. Questo accordo ha sancito, de facto, la riconoscibilità politica di governo dei Talebani e l’inconsistenza politica-militare dell’Europa, perennemente a rimorchio delle decisioni americane. 

 
 
 
 
 
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Che poi in Italia si discuta se dialogare o meno coi Talebani è roba da mettersi le mani nei capelli per l’inconsistenza culturale dei nostri politici: se vuoi salvare delle vite umane o usi il dialogo o, se ne sei capace, usi la forza. Altrimenti è solo “teatro”!

I quattro punti dell’accordo di Doha – ritiro delle truppe, no al terrorismo, negoziato di pace e tregua, si tenevano tutti assieme: “Niente è deciso fino a quando non è deciso tutto”.

Questo fino alla precipitosa decisione di Biden che, per la fretta, ha fatto precipitare tutto. Il perché? Non è dato sapere, salvo che oltre ai noti quattro punti ci fosse altro, che non si conosce e che all’ultimo è saltato. Comunque le responsabilità ricadono tutte sul Presidente degli USA e sui suoi generali, binomio indivisibile.

Ma la vera assenza di logica sta nell’atteggiamento dei Talebani, che fin ora non hanno costituito un governo reggente, dopo la fuga ignobile dell’ex Presidente Abdul Ghani e della conquista delle principali città afgane. Si comportano, a parole, come forza di governo, quindi non più terroristi; rassicurano l’opinione pubblica internazionale che non ci saranno epurazioni né atti violenti nei confronti delle donne; sapendo di avere le televisioni di tutto il mondo accese in casa propria, hanno tutto l’interesse nel fare una propaganda “distensiva e buonista”, per acquisire credibilità internazionale.

 
 
 
 
 
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Di conseguenza hanno tutto l’interesse che gli occidentali se ne vadano il prima possibile; dovrebbero facilitare l’evacuazione proprio per poter spegnere i fari delle TV, tornando ad operare nell’oscurantismo da par loro.

Non c’è logica politica nel mettere posti di blocco nelle vie di accesso all’aeroporto, così come decapitare, ora a fari accesi, il capo della polizia; non c’è logica nel trucidare un comico davanti a tutti, così come “spegnere” la musica. Sono tutte ignominie che “potevano essere rimandate” a fari spenti. Perché esasperare una situazione già drammatica di suo, senza ricavarne un vantaggio di legittimazione?

Ora ci raccontano che le bombe nei pressi dell’aeroporto, annunciate da giorni, sono opera dell’Isis K, sigla mai sentita fina a due giorni fa. Ci spiegano, tutti gli esperti di geo-politica, che sono una fazione iper oltranzista, acerrima nemica dei Talebani giudicati troppo morbidi. 

 
 
 
 
 
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Quindi, nella prossimità della costruzione di uno Stato Islamico, futura Mecca del terrorismo di tutto il mondo, quattro esaltati (in Italia li chiameremmo quattro Tafazzi) vorrebbero far saltare quello che era il progetto più ambizioso di Bin Laden?

Come al solito la narrazione viene declinata, da parte dell’Informazione, seguendo pedissequamente le veline governative.
Mala tempora currunt!

P.S. Nell’inferno generale di Kabul spicca il “re degli sciacalli”: il mercenario Erik Prince, fondatore di Blackwater, che chiede 6.500 dollari a persona per far scappare le persone dal Paese dopo l’arrivo dei talebani. Il tutto sotto gli occhi del presidio Nato che controlla la sicurezza del sito.

Qui la logica è che nel caos che si ottengono i profitti maggiori e i più schifosi!