“Non si ha notizia di ricatti esercitati da una donna nei confronti di un uomo attraverso la diffusione di immagini che riproducono un atto sessuale”
È possibile osservare il tema del revenge porn da un punto di vista maschile? L’impresa non è facile, ma ci proviamo. Il revenge porn, in italiano pornovendetta, è un reato che appartiene alla civiltà dell’immagine.
Prima che il dagherrotipo, nel 1839, aprisse la strada al mondo della realtà riprodotta, non esisteva qualcosa di simile. Il discredito su una persona di sesso femminile, attraverso la violazione della sua sfera intima, poteva essere gettato con il racconto, se vogliamo il disegno, ma non aveva certo l’impatto che ha la diffusione di immagini o filmati rubati o girati con il consenso del partner. Soprattutto non era possibile buttare fango con tanta velocità e a tanti soggetti contemporaneamente come è possibile fare oggi con la tecnologia.
Siamo dunque in presenza di un reato figlio dei nostri tempi. Che però affonda le radici nel terreno culturale che nutre la nostra società. Una società che, a dispetto delle battaglia contro le differenze di genere, paga ancora una pesante tassa alla disparità.
Il reato del revenge porn è lo specchio di questa disparità. Non si ha notizia di ricatti esercitati da una donna nei confronti di un uomo attraverso la diffusione di immagini che riproducono un atto sessuale. Al contrario non si contano i casi in cui persone di sesso femminile vengono messe alla berlina con lo stesso procedimento. Il problema è fortemente sedimentato e la soluzione non può che scaturire dall’emancipazione dell’universo femminile. Un processo, quest’ultimo, che in occidente è avviato da secoli, ma che da secoli viene respinto da un muro che purtroppo pare invalicabile: il muro dell’ignoranza.
L’ignoranza è la fonte che alimenta fame di denaro e politiche spregiudicate attraverso le quali i potentati economici sguazzano e fanno affari.
Solo una profonda e radicale azione che promuova l’istruzione, il sapere, la cultura, la conoscenza può frapporsi alla logica della discriminazione di genere e ai reati che, come il revenge porn, ne conseguono. Dobbiamo cambiare radicalmente, essere educati in un modo diverso, un modo che cancelli progressivamente le scorie che avvelenano il nostro mondo.
È necessario percorrere una strada lunga e faticosa e rimuovere i macigni che il monologo di Paola Cortellesi, pronunciato nel 2018 in occasione della sessantatreesima edizione dei David di Donatello, porta magistralmente in primo piano. Sono solo parole, ma sono parole pesantissime.
“È impressionante vedere come nella nostra lingua alcuni termini che al maschile hanno il loro legittimo significato, se declinati al femminile assumono improvvisamente un altro senso, cambiano radicalmente, diventano un luogo comune.
Un cortigiano, maschile, è un uomo che vive a corte. Una cortigiana? Una mignotta. Un massaggiatore: un chinesiterapista. Una massaggiatrice? Una mignotta. Un uomo di strada: un uomo del popolo. Una donna di strada? Una mignotta. Uno squillo: il suono del telefono. Una squillo? Dai, non lo dico nemmeno… non lo dico.
Un uomo di mondo: un gran signore. Una donna mondo: una gran mignotta. Uno che batte: un tennista che serve la palla. Una che batte? Non dico neanche questa… dai.
Un uomo che ha un protettore: un intoccabile raccomandato. Una donna che ha un protettore: una mignotta. Un buon uomo: un uomo probo. Una buona donna: una mignotta. Un uomo allegro: un buontempone. Una donna allegra: una mignotta. Un gatto morto: un felino deceduto. Una gatta morta: una mignotta. Uno zoccolo: una calzatura di campagna. Una zoccola? (silenzio prolungato…).
Per fortuna sono soltanto parole. Certo, se le parole fossero la traduzione dei pensieri, allora no, sarebbe grave, sarebbe proprio un incubo. Un incubo fin da piccoli. All’asilo un bambino maschio potrebbe iniziare a maturare l’idea che le bambine siano meno importanti di lui. Da ragazzo crescere nell’equivoco che le ragazze siano in qualche modo di sua proprietà e poi da adulto potrebbe pensare che sul lavoro le sue colleghe vengano pagate meno. E a quel punto non gli sembrerebbe grave neppure offenderle, deriderle, toccarle, palpeggiarle, come si fa con la frutta matura, come si fa per controllare le mucche da latte. Se fosse così potrebbe anche diventare pericoloso. Una donna adulta o anche giovanissima potrebbe essere aggredita, picchiata, sfregiata dall’uomo che la ama. Uno che la ama talmente tanto da pensare che lei e anche la sua vita sono roba sua. E quindi può farne quello che vuole.
No, ma sono soltanto parole per fortuna, soltanto parole, per carità. Soltanto parole”.
Parole che, rifacendosi alla domanda da cui siamo partiti, portano a una sola conclusione: affrontare il tema del revenge porn e dunque della disparità di genere leggendoli con una lente maschile non è possibile, significherebbe legittimarli.