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Il dilemma dell’inclusività: sì o no?

Tempo di lettura: 3 min.

Sottolineare le tematiche LGBT+ in Italia favorisce un’evoluzione o è un’ulteriore fattore di discriminazione in un certo senso?

Mai come quest’anno in Italia i temi LGBT+ sono stati sotto i riflettori. Il DDL Zan ha acceso l’attenzione su un mondo che non è per nulla sommerso, ma che da noi rimane in un certo senso in sordina. Per mesi il tema del DDL Zan è stato protagonista delle cronache, con un grande dispiegamento di figure pop che si sono schierate a favore del provvedimento. Sappiamo poi come è tristemente andata a finire, ma il dibattito positivo che è scaturito è sicuramente un indice di quanto certi temi siano realmente percepiti dalla gente comune e da personalità illuminate.

 
 
 
 
 
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La situazione rimane decisamente opaca rispetto al resto del mondo occidentale. Ma per quale motivo?

La differenza sostanziale tra l’Italia e i paesi anglosassoni ad esempio, è che in questi ultimi le differenze vengono tutelate con norme e leggi, già a partire dall’ambito scolastico. È qualcosa di istituzionalizzato e quindi è normale osservare campagne pubblicitarie molto capillari, in cui le persone che fanno parte della comunità LBGT+ vengono rappresentate con naturalezza. L’omofobia esiste ma viene pubblicamente condannata.

Da noi invece si verifica un curioso fenomeno, dove, ahimè, non esistono leggi e l’omofobia è ancora un fattore culturale: certi soggetti che se ne escono con espressioni agghiaccianti possono essere criticati, ma alla fine se la passano bene. Basta vedere le dichiarazioni totalmente assurde e offensive, che abbiamo visto volare durante le discussioni sul DDL Zan. E nessuno ha fatto nulla in pratica.

Assistiamo a qualche tentativo timido di rivoluzione, ancora tiepido, ma qualcosa si muove.

C’è poi una questione interessante, che può sembrare paradossale. Per spiegarla facciamo un esempio: è decisamente interessante osservare l’opzione presente sul sito per la ricerca di affitti e case, Idealista, dove è possibile selezionare la possibilità di trovare una stanza con affittuari LGBT+ friendly.

Ora la situazione si può analizzare da due lati. Come abbiamo visto il riconoscimento dei diritti della comunità rainbow in Italia è ancora molto precaria. Se guardiamo il nostro mondo social, l’impressione è quella di essere alla pari con il resto del mondo, ma la strada da fare nei media e nella società è ancora lunga. Anche se si parla più liberamente di certi temi, tanti ragazzi e ragazze hanno ancora paura di fare coming out: come riporta Gay Help Line, un contact center nazionale contro l’omofobia, nel 60% dei casi i giovani che telefonano, tra i 13 e i 27 anni, chiedono aiuto su come fare coming out. E in questo caso sapere che esiste un sare space o assistere più banalmente a una rappresentazione concreta non è affatto poco. 

 
 
 
 
 
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Si potrebbe obbiettare che in una società civile non ci dovrebbe essere il bisogno di creare una casella apposita per la comunità LGBT+, che anzi, al contrario ciò vada a creare una maggiore discriminazione. Un discorso che potrebbe essere condivisibile, se di fatto esistesse una vera uguaglianza: la normalizzazione è un bellissimo obbiettivo, ma finché non verrà raggiunta non dobbiamo smettere di sottolineare, di mettere in luce, di fare differenze. Con l’augurio che un giorno non ci sia più questo bisogno.

 
 
 
 
 
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Photo by daniel james on Unsplash

2560 1707 Francesca Parravicini
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