Il virus del secolo resterà un fantasma che aleggia sulle nostre teste, forse ce ne scorderemo solo quando arriverà un nuovo “male del millennio”
Anche i più accaniti animalisti rischiano di finire per detestare ogni tipo di animale a causa dell’associazione tra varie forme di bestie a due e quattro zampe e altrettante forme di malattie piuttosto spiacevoli. Dall’influenza aviaria in poi è stato un susseguirsi di spiacevoli associazioni animale/uomo e solo in alcuni casi ci siamo potuti concedere il lusso di fare finta di nulla. In altri non è stato proprio possibile.
In attesa di capire cosa diamine sia il Vaiolo delle scimmie – in questo erroneamente confortati dal fatto come in molti casi non ci sono scimmie nei nostri giardini o nel nostro menù – siamo ancora costretti a guardare indietro. A riportare alla memoria quel periodo assurdo, inedito e terribile che quasi tutti abbiamo archiviato nella casella celebrale denominata “lockdown”, quella che in “Inside Out 5” potremmo trovare nell’isola delle cose da dimenticare.
Quando la tempesta Sars Covid-19 ha iniziato a generare oscuri nuvoloni sulle teste di milioni di persone che parlavano mandarino e compravano cani vivi al mercato per portarli a cena (e non nel senso buono del termine) ci siamo presi tempo per capire, studiare e riflettere. Per poi reagire, in buona misura nel modo sbagliato, ed abbozzare una strategia che alla fine si è rivelata quella del “aspettiamo che passi e vediamo chi riesce a sopravvivere”.
Finita la crisi, come succede sempre in Italia, la memoria ha iniziato a resettare eventi, messaggi, annunci serali a reti unificate ed ogni altro aspetto di quel periodo. Per sicurezza le autorità sanitarie hanno anche smesso di rendere pubblici i dati sulle infezioni e sui decessi causati dal Covid, per consolidare l’illusione che quel problema sanitario mondiale sia stato del tutto superato e risolto, anche grazie alla campagna vaccinale globale.
Ma il problema è stato davvero risolto? Non proprio. Chiunque abbia trascorso qualche minuto nello studio di un medico di base o di un pediatra negli ultimi mesi si è sentito raccontare di quante infezioni ci siano ancora, di come continuino a cambiare sintomi e conseguenze, di quanta rassegnazione ormai prevalga nell’affrontare il Covid, sempre sulla scia del “aspettiamo che passi e vediamo chi riesce a sopravvivere”.
A riportare al centro dell’attenzione il virus ci hanno pensato le Olimpiadi di Parigi, che come abbiamo visto sono anche state il palcoscenico di una serie piuttosto nutrita di polemiche e di campagne politiche e disinformative. Durante OJ24 infatti alcuni atleti hanno dovuto saltare o rinviare le proprie gare e i propri incontri proprio a causa di infezioni riconducibili al Covid.
Il calderone olimpico ha riportato in auge la discussione sul Covid ed anche sulla sua prevenzione, visto che al netto delle feroci diatribe e delle denunce nate intorno all’utilità dei vaccini – o ai loro effetti negativi – non esistono soluzioni certe quanto rimedi per affrontare il virus o “semplicemente” per evitare le conseguenze più letali dell’infezione.
Ed infatti, stando ai numeri e a quanto pubblicato dal Sole 24 ore, nella settimana di Ferragosto si sono registrati oltre 16mila contagi, 100 morti, 14 ricoveri in terapia intensiva e 144 ricoveri. Con Veneto, Campania e Lombardia a guidare la lista delle regioni con il maggior numero di contagi. Dati importanti che descrivono un virus ancora attivo e che, al ritmo attuale, porterà ancora migliaia di morti all’anno. Una stima per difetto, visto che di tamponi se ne fanno pochi e solo nei casi più gravi e altrimenti inspiegabili e che di conseguenza anche la mortalità potrebbe essere sottostimata.
Dopo questa ventata di ottimismo diventa ancora più stingente la domanda: ci libereremo mai del Covid? Probabilmente la risposta è negativa e potremo solo sperare che, ignorandolo ancora, il virus decida di tornare da dove è arrivato, ritornando ad infettare solo polli e furetti. Una teoria scientifica su cui però non esiste ancora una unanime condivisione.