Founder di Probeat Agency, il racconto di Paolo Ruffato, che 20 anni fa ha contribuito a cambiare le regole del gioco nelle pubbliche relazioni
Paolo fonda la sua agenzia di PR nel 2002. Erano tempi diversi per la comunicazione. Milano, però, era già il polo italiano in cui era giusto scegliere di farlo. Un passato da ballerino di breakdance, una sfrenata passione per l’hip hop quando l’hip hop non era ancora un genere di massa e un mare di dubbi.
Quando lo incontro, la prima cosa che mi colpisce è il suo entusiasmo. Ad oggi penso che ci voglia grande coraggio ad essere entusiasta.
La nuova comunicazione è contraddittoria, quali sono i principali elementi di cambiamento rispetto alla comunicazione di 20 anni fa?
Prima di tutto i tempi. La lentezza era ancora protagonista delle nostre vite. Quando ho cominciato ricordo che facevo la rassegna stampa a mano. Mi mettevo lì, tagliavo gli articoli che mi interessavano e li incollavo su un foglio preimpostato per mostrarli al cliente. Oggi si parla e si sperimenta l’intelligenza artificiale, gli assistenti virtuali. Il cambiamento è velocissimo e la necessità impellente è cercare di rimanere più aggiornati e più sul pezzo degli altri.
Per fare imprenditoria bisogna essere cinici e spietati?
Un bravo imprenditore crea un team di persone che rispetta e da cui è rispettato e cerca nel quotidiano di raccontare gli obiettivi da raggiungere insieme. Pratiche poco umane, cinismo e spietatezza non hanno nulla a che vedere con l’imprenditoria sana. Sostengo da sempre l’autorevolezza a sfavore dell’autoritarismo, c’è una bella differenza.
Come hai iniziato?
Facevo il ballerino professionista. Ero nel campo della breakdance. Ottenevo più di quanto sognassi ma sapevo che a un certo punto avrei mollato. L’illuminazione è arrivata quando alcuni brand hanno cominciato a regalarmi prodotti per indossarli in televisione. Ho capito che avrei potuto fare da mediatore per personaggi molto più importanti di me, amici, e con cui i marchi avrebbero voluto lavorare. Per semplificare, la mia agenzia ha preso piede con il product placement alla mia cerchia di amici artisti, un’idea che a quei tempi non aveva avuto ancora nessuno.
Una persona che è stata fondamentale nel tuo successo professionale?
Ricordo un periodo, dopo un po’ di tempo che avevo cominciato a lavorare, in cui la “Milano da Bere” mi stava risucchiando. Avevo perso l’abitudine di svegliarmi presto e vedevo sfocati gli obiettivi che mi ero prefissato. Mi chiamò Tiziano Russolo, un pezzo grosso di Safilo e poi Nike e Converse, dicendomi che secondo lui mi stavo perdendo e stavo buttando via la fiducia che avevo conquistato con grande impegno. Capii che aveva avuto il coraggio di prendersi cura di me. Ho messo giù il telefono ringraziandolo e un secondo dopo ho ripreso controllo della mia vita.
Hai mai pensato di aver sbagliato qualcosa?
Ho fatto una caterva di errori, quegli errori mi hanno permesso di mettermi in dubbio e mettermi in discussione mi ha consentito di fare le scelte giuste.
Il problema della maggior parte degli imprenditori? Una volta ingranato il ritmo, credono di avere la verità in mano, di aver capito come si fa e di poter insegnare senza continuare a studiare. È proprio in quel momento che vengono spazzati via dai “new kids on the block”. Il nuovo che avanza, una giovane realtà preparata che li fa apparire superati.
Cosa significa aprirsi al cambiamento?
Rispondo con una citazione di uno degli artisti più iconici della scena rap, Afrika Bambaataa. Gli è stato chiesto come vedesse l’hip hop. La sua risposta? “Come l’energia, muore se non cambia forma”.
Cosa significa essere coraggioso?
Tenere gli occhi aperti, mettersi in dubbio ed essere disposti, appunto, a cambiare, anche quando fa paura.
I percorsi imprenditoriali subiscono variabili esogene spesso non controllabili. Qual è la cosa più importante che si impara facendo l’imprenditore?
L’insegnamento più importante è stato che per rimanere in piedi avrei dovuto imparare le regole del gioco. Faccio un esempio concreto: vengo da una famiglia dove non c’è stata alcuna educazione finanziaria, ho capito che avrei dovuto formarmi in autonomia. Non potevo permettermi i master da 20.000 euro? Ho comprato e studiato i libri scritti da chi teneva i master, al prezzo di copertina.
Perché Milano e non altrove?
Milano è il regno della comunicazione. I media sono qui, l’industria ha deciso che questo fosse il polo del nostro settore, io mi sono solo adeguato.
Come sarà il tuo lavoro fra 20 anni?
Me lo chiedo tutti i giorni. Coraggio è anche cercare di immaginare il futuro e mettere in conto di non essere più necessari. Una cosa che ho capito con il tempo è che dobbiamo cambiare quando vinciamo 5 a 0, non quando siamo sotto di un gol, a quel punto è già troppo tardi…
Images Gianluca Caldara