La corsa all’immunità
L’affare è gigantesco: solo nel 2021 si calcola che, grazie ai vaccini, le grandi case farmaceutiche avranno un incremento dei ricavi che va dai 120 ai 150 miliardi di dollari.
Niente male in un periodo di pandemia in cui il calo dei profitti nei settori cardine delle economie occidentali, petrolio, vendita di armi e sistemi assicurativi, ha gettato nel panico le amministrazioni del fronte atlantico lasciando largo spazio, e dunque maggiore capacità di pressione sui governi, alle cosiddette Big Pharma.
L’affare è gigantesco e ha prodotto un solco profondo tra le economie di forte stampo liberista (Stati Uniti, Gran Bretagna, Israele) e la vecchia Europa ancorata alle sue lentezze che stanno determinando un forte ritardo nell’opera di immunizzazione della popolazione.
Basti pensare che, mentre l’Inghilterra si prepara a completare entro metà aprile la vaccinazione degli ultracinquantenni, il 20 marzo, in Italia, solo il 14,7 per cento degli over 80 aveva ricevuto la seconda dose.
In questo quadro si è innescata e divampa la guerra dei vaccini. Una guerra combattuta sulla pelle dei cittadini in nome del dio profitto che si inserisce, nel quadro europeo, sul terreno minato della Brexit.
Torniamo indietro di qualche mese. Nel maggio del 2020, in una Londra spettrale con gli ospedali al collasso e un indice di mortalità spaventoso, Boris Johnson, dopo aver fallito clamorosamente la gestione della prima fase della pandemia al grido di “nessuna chiusura, avremo l’immunità di gregge”, ordina 100 milioni di dosi di vaccino Astrazeneca, raddoppiando così la scommesse che aveva visto la Gran Bretagna investire 200 milioni di euro sul vaccino elaborato sull’asse Oxford-Pomezia e prodotto dall’azienda biofarmaceutica anglo-svedese.
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Solo due mesi dopo Ursula von der Leyen si rivolgerà alla stessa multinazionale stipulando un contratto per la fornitura di 300 milioni di fiale. Un ritardo che si rivelerà decisivo e che rischia di essere determinante anche sul fronte economico quando, terminata la fase emergenziale, arriverà la ripresa.
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La corsa all’immunità diventa dunque strategica in un mondo che archiviata la globalizzazione è entrato nella fase post globale. I vaccini sono diventati il carburante dell’economia e, per accapararsene, alcuni governi si sono dimostrati disposti a tutto. Lo testimonia il caso Israele, paese in cui l’opera di vaccinazione si avvia a essere completata.
Come ci sono riusciti? Certo, il fatto che Israele abbia una popolazione di 8,8 milioni di persone, inferiore, ad esempio, a quella della Lombardia, ha reso l’operazione
più semplice; ma quello che ha spiazzato la comunita occidentale, alle prese con la carenza di fiale in circolazione, è stata la massiccia quantità di dosi di cui lo stato ebraico è riuscito a dotarsi.
“Israele ha pagato i vaccini più del doppio dell’Unione Europea e ne ha in abbondanza” ha rivelato Roberto Burioni, noto virologo dell’Università San Raffaele di Milano. Facile, no? In una logica di mercato, vince chi mette più soldi sul piatto e così ha fatto Israele.
Ma rientriamo in Europa dove, come si diceva, la Brexit è diventato il terreno di confronto su cui si misurerà la capacità della Ue di mantenersi unita evitando di cedere alle forze scissioniste che covano all’interno degli stati membri.
Lo stop temporaneo alla somministrazione di Astrazeneca, decretato dalla Germania e subito raccolto da Italia, Spagna e Francia, è parso a molti una sorta di avvertimento al Regno Unito. In gioco ci sono i rapporti tra la Ue e la Gran Bretagna dopo l’uscita di quest’ultima dall’Unione. Rapporti la cui definizione è ancora sospesa e che saranno fondamentali per misurare la capacità di risollevarsi delle due economie.
La corsa all’immunizzazione in sostanza, è il primo, vero, grande banco di prova su cui si misurano l’Inghilterra e un’Europa che, con l’uscita di scena di Trump (conclamato fan della Brexit) e il riavvicinamento di Biden al Vecchio Continente, potrebbe trovare al proprio fianco un alleato inaspettato: gli Stati Uniti d’America. Che con i vaccini Pfizer, Moderna e Johnson & Johnson, solo per citare i principali, hanno la possibilità di invadere il mercato e mettere all’angolo Astrazeneca.
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I vaccini rischiano dunque di diventare uno dei business più remunerativi dei prossimi anni e di avere un ruolo strategico nell’economia del pianeta.
Con buona pace dei paesi poveri e di chi, poco meno di un anno fa, sosteneva la necessità di renderli disponibili all’intera umanità senza farne oggetto di speculazioni.
Come i 130 scienziati, capeggiati da una professoressa francese di Tours, Catherine Belzung, che nell’aprile del 2020, si rivolsero alla comunità internazionale, sostenendo che l’efficacia di una campagna di vaccinazione si basa sulla sua universalità e che i vaccini avrebbero dovuto essere privi di brevetto per essere accessibili a tutti.
“Solo un vaccino consentirà di arginare definitivamente questa pandemia – affermò la professoressa Belzung – Ma di fronte a una crisi globale, se il vaccino non è disponibile per tutti, non solo sarà una terribile ingiustizia, ma la malattia continuerà a diffondersi”.
Parole che, alla luce di quello che sta succedendo poco meno di un anno dopo, fanno tremare i polsi.