A pochi giorni dalla Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, l’ennesimo femminicidio mette gli uomini con le spalle al muro: dobbiamo metterci in discussione
Il contatore a tre cifre è stanco di crescere. Resta immobile, bloccato, il rullo delle unità in bilico tra il numero 4 e il 5. Aspetta notizie, si aggrappa a una speranza, vorrebbe sbilanciarsi all’indietro ma non riesce. Arriva la conferma del ritrovamento del corpo di Giulia Cecchettin, 22 anni: il numero 5 precipita sul contatore, la corsa però non si ferma a 105. 106: questo il numero di femminicidi del 2023, riportato dal Ministero dell’Interno.
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Secondo i dati Istat degli ultimi vent’anni, gli omicidi in Italia sono in diminuzione: un dato positivo, se non fosse che il trend fatichi a rallentare se si parla di donne. Ma è solo la punta dell’iceberg di un problema ben più ampio:
- 11771 accessi al pronto soccorso per violenza (Fonte Istat, 2021).
- 1083 ricoveri ospedalieri per violenza (Istat, 2021).
- 11632 vittime di violenza segnalate all’1522, Numero Anti Violenza e Stalking (Istat, 2022).
E ancora: ricatti economici, molestie sul luogo di lavoro, stupri, revenge porn, ostruzionismo alla socialità. Una galassia di comportamenti interiorizzati, sintomo di una società in cui gli uomini hanno l’assurdo privilegio di possedere le donne e deciderne le sorti.
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A pochi giorni dal 25 novembre, Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, l’assassinio di Giulia pone l’attenzione su un aspetto non trascurabile: l’assenza di un’immunità per le le nuove generazioni di uomini dalle dinamiche di violenza, troppo spesso derubricate, appunto, a una questione generazionale. È il tempo del dolore, della rabbia e dell’indignazione della gente, che reclama pene aspre ed esemplari. Uno stato emotivo e un linguaggio, quello dell’opinione pubblica, comprensibile; inutile e impraticabile se si parla di Stato.
Lo Stato: come risponde in materia di prevenzione e lotta alla violenza contro le donne?
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La legge n. 69 del 2019, conosciuta come “Codice Rosso”, è il testo normativo più recente in materia di violenza sulle donne. Nel codice penale sono stati introdotti nuovi reati (deformazione dell’aspetto, revenge porn, costrizione al matrimonio, violazione dei provvedimenti di allontanamento), inasprite le pene e snellito l’iter di procedura penale.
Misure che dovrebbero far desistere dal compiere violenza: ma funzionano davvero? È necessario l’ennesimo e tragico femminicidio per accelerare il voto su nuove proposte di legge, per incrementare i fondi per la prevenzione? Provvedimenti per facili consensi, per tamponare la ferita, che guardano, italianamente, al breve periodo. Promossi, tra l’altro, da parti contrarie all’educazione sessuale e affettiva nelle scuole, unico cantiere che permette di vedere a medio-lungo termine, dove costruire generazioni di uomini immuni alla violenza.
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C’è il tempo del dolore, da rispettare in ogni sua forma, ma deve essere seguito dal tempo della discussione: pensare che una fiaccolata, una panchina dipinta di rosso, una legge cambi magicamente e immediatamente la società è utopistico.
Professori, colleghi, compagni di classe, magistrati, ministri, padri, fratelli, tocca a noi: per troppo tempo siamo stati assenti nel dibattito, ogni storia come quella di Giulia sottolinea questa nostra mancanza.
È ora del coraggio, di quello vero. È ora di ammettere che viviamo in un mondo con un grande problema di genere, di scardinarlo, anche se questo vuol dire far vacillare ogni certezza e aspetto normale delle nostre vite. 106 segnali, 106 vite spezzate, sono troppe per essere ignorate.
Illustrazione di Gloria Dozio – Acrimònia Studios