La scomparsa di re Silvio: cosa hanno prodotto nelle nuove generazioni i trent’anni di regno?
“L’espressione nativi digitali indica coloro che hanno visto la luce e sono cresciuti in corrispondenza con la diffusione delle nuove tecnologie informatiche”. Con queste parole la pedagogista Anna De Luca raccoglie sotto un’unica bandiera le generazioni che si sono formate sotto il firmamento del sistema binario. Attribuendo loro caratteristiche, inclinazioni, modalità di espressione diverse rispetto ai cosiddetti cittadini digitali, ovvero coloro che, nati in un periodo che precede l’introduzione della rete internet, ne hanno assunto progressivamente consapevolezza e controllo senza subirla passivamente.
Così come esistono in tutto il mondo i nativi digitali, in Italia esistono i nativi Berlusconi, una comunità che ha come tratto comune quello avere preso vita nell’ultimo trentennio. Di quanto Sua Emittenza abbia marcato lo sviluppo culturale, di quanto abbia inciso nei costumi dei giovani, di come abbia condizionato i processi di crescita degli stessi, si è dibattuto e si dibatterà a lungo, senza arrivare per forza a una conclusione. Perché non esiste controprova.
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Come sarebbe stata l’Italia senza l’avvento del Cavaliere? Mettendo provvisoriamente in un angolo le analisi dei suoi orfani – secondo i quali, senza la discesa in campo del 1994, il paese sarebbe stato occupato militarmente dai comunisti e piegato alle logiche bolsceviche con tanto di truppe in uniforme e colbacco scese a Roma per abbeverare i cavalli alla fontana di Trevi -, è facile sostenere che sarebbe stata un’Italia diversa.
D’altronde non è un mistero che re Silvio, ancor prima di salire al trono, avesse messo al centro della sua azione il sistema televisivo, ovvero il principale strumento di comunicazione del paese. Cambiandone profondamente la natura. La tv commerciale in Italia, così come la conosciamo oggi, è il frutto della sua straordinaria abilità imprenditoriale. Berlusconi, più di ogni altro, è stato l’uomo che, facendo leva su un sistema politico assai poco concentrato sul tema del pluralismo, ha accentrato su di sé una spaventosa quantità di emittenti. Con Canale 5 prima, Italia 1 e Rete 4 poi, ha creato un polo televisivo capace di contrapporsi alla Rai, polo televisivo sdoganato dal governo Craxi attraverso la legge Mammì. Sul fronte dell’editoria ha riunito sotto la bandiera del biscione le aziende più solide, dalla Mondadori, alla Einaudi per finire alla Rizzoli e messo progressivamente sotto il suo controllo il 35% dell’editoria italiana.
In ragione di questa anomalia, che non ha eguali nel mondo occidentale, non è difficile capire come, nei periodi in cui ha avuto in mano il governo del paese e l’influenza si è allargata pericolosamente anche al servizio pubblico, l’Italia sia precipitata all’interno di tunnel comunicativo in fondo al quale era pressoché impossibile individuare un barlume di luce.
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Il pensiero unico di cui i cortigiani di re Silvio si sono riempiti la bocca denunciando un monopolio culturale della sinistra che allo stato dei fatti era oggettivamente improbabile, è stato il bluff del trentennio. Il vero pensiero unico è stato in realtà quello diffuso a piene mani attraverso l’imponente sistema di comunicazione messo in piedi dal Cavaliere. E su quel pensiero si sono formate le generazioni dei nativi Berlusconi. Un pensiero teso, in primo luogo, a mettere in secondo piano il merito per far posto all’intuizione e alla furbizia.
L’insofferenza alle regole, il primato del bel culo e delle belle tette, la spettacolarizzazione della politica, la ricerca ossessiva di un nemico, sono stati i cardini su cui si è fondata l’operazione di banalizzazione. Ammaliata e sedotta l’opinione pubblica al grido di “Giù le mani dalle tasche degli italiani” anche l’obiettivo di scardinare il principio che alle tasse corrispondono i servizi resi ai cittadini è stato raggiunto: nel regno di Silvio, uno dei maggiori contribuenti del paese – è giusto ricordarlo -, le tasse sono una costrizione ingiusta e, specie nei periodi di campagna elettorale, è utile armare le truppe nella battaglia contro qualsiasi genere di tributo. D’altronde, l’erede al trono, la regina Giorgia, ha seguito pedissequamente il solco tracciato da Sua Emittenza quando a Catania ha dichiarato che le tasse sono di fatto “pizzo di Stato”.
Dunque: la perdita di valori delle nuove generazioni su cui si sono versati fiumi di inchiostro e di parole ha forse qualcosa a che vedere con il fenomeno Berlusconi considerato, specie dagli analisti anglosassoni, il vero precursore del populismo. Così come forse ha qualcosa a che vedere la fuga dei cervelli all’estero che ogni anno sottrae al paese le menti migliori.
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Sarà un caso che fuori dai nostri confini nessuno abbia capito perché sia stato allestito uno spettacolo così solenne, con tanto di funerali di Stato e lutto nazionale, in occasione della morte di un uomo così divisivo? Sarà un caso che i giornali di destra continuino ad agitare senza soluzione di continuità lo spauracchio comunista alla incessante ricerca di un nemico contro cui scagliarsi?
“I comunisti ormai non esistono più – ha sottolineato Pierluigi Bersani presentando l’ultimo libro di Giulio Santagata, ex ministro del governo Prodi – ma l’anticomunismo gode di ottima salute”. Con buona pace dei nativi Berlusconi. E dell’Italia intera.
Illustrazione di Fabiola Graziosi – Acrimònia Studios