Rigidità prussiana o anarchica libertà, questo il dilemma. Il mestiere più difficile del mondo sotto esame, tra cliché ed estremizzazioni
Recentemente nel salotto di A casa di Maria Latella si è simposiato sulla genitorialità contemporanea, attorno a un improbabile tavolo composto dall’imprenditore Alberto Forchielli, Luigi Di Maio, la campionessa olimpica Valentina Vezzali e da Paolo Crepet. Il menu della conversazione in casa Latella ha avuto tante portate cliché, sull’essere padri e madri oggi: la globalizzazione, la troppa teoria nelle scuole, la maggiore presenza dei genitori meridionali, il Sessantotto. Solo non si vedono le mezze stagioni e la cara vecchia lira. Tutto sopportabile, fino a quando il celebre psichiatra non ha tuonato contro i genitori Millennial: “I quarantacinquenni sono i peggiori genitori della storia, cresciuti con l’idea che mettere limiti ai figli sia sbagliato”. A ricevere per primo queste parole, tra una portata e l’altra, il povero Giggino appena diventato papà.
Come già è successo per altre dichiarazioni di Crepet, le sue parole hanno suscitato non poche polemiche, nate e cresciute proprio nella comfort zone del digitale più volte criticata dallo stesso psichiatra. Tra coloro che hanno risposto a suon di reel, Enrico Galiano, professore influencer e ospite di diversi talk Rai. Un lungo elenco di studi internazionali e statistiche che dimostrano un incremento dell’attenzione alla parità di genere e una progressivo aumento della presenza dei padri nella vita dei figli, che ha però poco o nulla a che fare con le problematiche sollevate da Crepet. Se è vero, come anche Galiano giustamente sottolinea, c’è una maggiore sensibilità ai DSA, un maggior incoraggiamento delle aspirazioni dei figli, un maggior dialogo rispetto ai genitori del passato (ammesso che sia statisticamente verificabile), il problema rimane e risiede proprio nella parola qui ripetuta più volte: maggiore. Dagli interventi dello psichiatra emerge un’eccessiva presenza e un’iperprotezione che ha portato all’evaporazione di qualsiasi forma di autorità in famiglia, a una totale assenza di limiti imposti.
La verità dove risiede? Difficile dirlo, sicuramente non nella polarizzazione delle parti. Crepet ha ragione nell’affermare che si sia passati dal voler contrastare i padri ad avere paura del confronto con i figli, perché imporre dei no, quindi porre le basi per un ipotetico conflitto, è più difficile che lasciare massima libertà. Ciò su cui però non si sofferma, e che andrebbe indagato alla radice, è l’origine di questa fragilità diffusa, che pone i genitori di oggi in questa posizione. Stupisce che nel dibattito, una persona abituata a scavare nella mente delle persone, non sia andata oltre la sentenza. Senza le domande giuste, qual è il risultato inevitabile? Una generazione di genitori iperprotettivi, che privano i propri figli dell’esperienza formativa dello sbaglio e del confronto con un divieto, paranoici a livelli estremi, che si formano per conto proprio. Magari grazie al supporto dei family influencer di turno. Se in famiglia l’autorità non esiste, perché figli e genitori dovrebbero rispettarne di esterne? Non stupisce allora che si sia arrivati alle forze dell’ordine nelle scuole per scongiurare altri linciaggi dei professori.
Sentirsi migliori del passato o superiori al presente sono due facce della stessa medaglia; nel mezzo vive l’equilibrio, assieme a una serie di consigli non richiesti da schiere di genitori che vogliono insegnare il mestiere più difficile del mondo senza guardare i propri errori.
Se le generazioni prima sono state quelle della rigidità, i Millennial quelli della permissività anarchica, non resta che sperare nei padri e madri Gen Z, in grado di dosare meglio bastone e carota. Metaforicamente, ça va sans dire: non sia mai che i sostenitori di uno dei due strumenti si indignino.