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I chiaro e scuri del Quirinale

Tempo di lettura: 5 min.

Il 29 gennaio 2022 è stato eletto Sergio Mattarella come Presidente della Repubblica.

E’ successo quel che da un anno a questa parte tutti auspicavano, tranne Lui: il neo eletto Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.

Fermo restando che in democrazia l’alternanza è cosa sana e fondamentale, in questa fase parlamentare era giunto il momento che fosse il centro destra a indicare un candidato, sebbene condiviso non avendo voti sufficienti per eleggerlo in solitaria; 

Ragionando, molto prima delle votazioni, su quali candidati avrebbe potuto presentare, si erano individuati due nomi: Mario Monti ed Elisabetta Belloni. Il primo è uomo di stampo internazionale, europeista, atlantista, liberale assai simile al Presidente Draghi; la seconda, sconosciuta ai più è una delle menti più prestigiose del Paese, una vita passata con grande impegno alla Farnesina, risolvendo decine di crisi. Una eccezionale “civil sevant”. Sarebbe stato imbarazzante per il centro sinistra dire no; ma le previsioni, si sa, vengono fatte per essere smentite!

Galeotto fu l’avverbio. Tutta la narrazione, spesso sguaiata, che ha dipinto il Presidente Draghi come un novello Marchese del Grillo, per le sue inesistenti ambizioni quirinalizie, nascono da un avverbio pronunciato nel discorso di fine dicembre.

Quale? Tommaso Labate, autore del “fulminante scoop” e ospite della MaratonaMentana, non lo ha specificato. Ed è proprio questa narrazione, sostenuta da tutta l’informazione ad essere il primo punto oscuro da mettere in evidenza.

Come già scritto, Draghi ha solo chiesto un nome presentato dall’intera coalizione di governo, per sentirsi più tutelato ed è stato chiarissimo!

Ricordate bene una cosa fondamentale: non è Mario Draghi a cercare il potere ma è il potere a cercare lui, ha studiato dai gesuiti perché ciò accadesse. La rielezione del Presidente Mattarella presta il fianco a un gran baccano sulla pochezza della politica, sul suo fallimento e soprattutto sulla richiesta di un suffragio elettorale per l’elezione del Presidente; addirittura si è chiesta una legge immediata a proposito, senza sapere che è la Costituzione a regolare una modalità del genere.

Modalità che avrebbe bisogno di pesi e contrappesi, ovvero delineare il potere e il necessario contropotere: roba da bicamerale che richiederebbe anni di studi e lavoro, per mettere d’accordo tutti.

Tenendo presente che se si dovesse andare in questa direzione si rischia che a divenir determinanti sarebbero i social, gli influencer e tutti i cosiddetti “leoni da tastiera” che hanno tempo da perdere sul web.

Ma questa è la politica con tutto il suo fascino, la sua miseria, la sua necessaria importanza per la vita sociale di tutti noi; la differenza sta nei protagonisti. Quelli della Prima Repubblica, piaccia o non piaccia, erano una classe dirigente molto più colta di quella attuale, nella necessità avevano un forte senso dello Stato e per buona parte, se non erano professori, giuristi, avvocati o altro ma politici di professione, lo erano dopo aver studiato nelle scuole di partito e fatto tanta gavetta, politica e amministrativa.

Da questo Parlamento, in questo periodo storico, ci si aspettava una sensibilità istituzionale che rassicurasse il Paese, tutto, tenendolo al riparo da un’insulsa propaganda elettorale in vista delle politiche del prossimo anno.

La cosa vergognosa è che entrambi gli schieramenti hanno aperto i relativi congressi durante l’elezione della presidenza della Repubblica, sapendo di avere il paracadute “dell’usato sicuro”.E questa è la prima cosa chiara di queste elezioni!

Passiamo a volo radente sulla cronaca dei sei giorni di votazioni, tutta concentrata sulla ricerca del “King Maker” che la maggior parte del pubblico e dei parlamentari intervistati non sanno bene cosa significhi!

Le prime tre votazioni hanno sancito scheda bianca e sarebbe stato divertente se fosse sbucata una Signora Bianca Scheda, come successe nel 92 per una anziana azdora emiliana.

I due centri opposti mostrano divisioni al loro interno che di sicuro avranno ripercussioni nel futuro; a destra bruciano candidati come nemmeno al tempo del Medio Evo con le streghe, con follie istituzionali come quella di intestarsi e proporre la nomina della seconda carica della Repubblica per poi mandarla al rogo.

Inutile continuare a piangersi addosso, frignando che gli avversari non ti fanno toccare palla quando sei tu a non saper giocare.  A sinistra, oltre alle note divisioni correntizie, si adombra il sospetto, abbastanza palese, del tradimento sul nome della stessa Presidente del Senato e su quello di un altro improponibile candidato.

E siamo arrivati alla seconda cosa chiara di queste elezioni: Mala tempora currunt!

Il secondo punto scuro si tinge di giallo. 

Stando alle ricostruzioni, anche se qui la scena è più esplicativa dei retroscena, negli uffici del M5S si riuniscono Conte, Letta e Salvini; la location fa subito pensare che stavolta il “King Maker” è Conte…

Si riuniscono per circa due ore, poi inizia la passerella davanti alle telecamere. Il primo a parlare è Letta.

Attenzione qui è una questione di prossemica, come dicono quelli colti, ovvero la capacità di interpretare la gestualità e le varie scale dei toni di voce.

Letta appare preoccupato ma fiducioso, dice che un accordo su una Presidente o su un Presidente potrebbe esserci a parte che tutti si sentano vincitori, dice che bisognerà lavorarci ancora. Nel mezzo del discorso ripete che c’è un accordo su una Presidente o su un Presidente, con una variante di tono su una Presidente. Per chi è abituato a stare davanti a un monitor a studiare Primi Piani è evidente che hanno scelto una donna, trent’anni di regia pesano.

Per secondo esce Salvini che si intesta subito (l’esatto contrario di quel che aveva predicato Letta) la scelta di una donna come Presidente e traccia, senza nominarla, l’esatto profilo del direttore generale del Dis, il Dipartimento per le informazioni e la sicurezza, l’ambasciatrice Elisabetta Belloni.

Stessa cosa combina Conte intestandosi la scelta di una donna Presidente e se non ricordo male facendo il nome della Belloni. Poco conta, a seguire seguono i tweet della Meloni e di Grillo raggianti per la scelta fatta proprio sul nome. E’ fatta!

Se il diavolo fa la pentola al coperchio ci pensa Renzi, che badate bene è amico di Elisabetta Belloni ed è lui, sempre che la tempistica mi sia d’aiuto, ad averla nominata Segretario Generale della Farnesina. Contro la scelta spara ad alzo zero, insistendo che è inaccettabile che il Capo dei Servizi Segreti venga proposto come Capo dello Stato.

Draghi che, per totale stima, a quel ruolo l’ha nominata sette mesi prima, fa trapelare tutta la sua contrarietà verso questa ipotesi. Di Maio, Ministro degli Esteri, che proprio grazie alla Belloni è notevolmente cresciuto politicamente, spara un comunicato contro il capo del suo Movimento, Antonio Conte.

Il PD non pervenuto, sparisce. Così come sparisce Conte, sabato mattina, per circa tre ore, il giorno dell’ottava votazione. Dagospia è l’unico a notarlo e ci scherza sopra dicendo che sta dal parrucchiere.

Ora, visto che si era trovata la quadra perfetta, come dicono gli opinionisti che la sanno lunga, di avere una personalità di altissimo prestigio, super partes e per di più finalmente donna come Presidente, perché proprio dai suoi presunti amici è venuto il fuoco di sbarramento?

Draghi a questo punto suona la campanella: è finita la ricreazione. Telefona al Presidente Mattarella e gli chiede di restare, altrimenti lui lascia Palazzo Chigi. Cosa che gli aveva chiesto già a settembre, come scritto recentemente da Marzio Breda, sul “Corriere delle Sera: “Se tu resti, resto anch’io”. A riprova che al Quirinale non ci ha mai pensato.

Il resto è cronaca.

Concludendo: rumors dicono che sia stata la stessa Belloni, non a caso stessa scuola di Mario Draghi, a suggerire a Di Maio di sparare quel tweet. Se così fosse la situazione geopolitica è talmente grave che non possiamo permetterci di spostarla al Quirinale. 

Questo è: non possiamo permetterci di perdere Draghi a Palazzo Chigi e di perdere Mattarella al Quirinale.

Buon lavoro!

1302 1300 Gianfranco Gatta
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