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Guerra alla CO2: dal 2035 il trasporto europeo cambierà davvero?

Tempo di lettura: 5 min.

Stop alla vendita di veicoli inquinanti dal 2035; c’è l’ok del Parlamento europeo. Una sfida importante che alimenta sogni green, ma anche grandi dubbi.

Il trasporto è responsabile di un quinto delle emissioni europee di anidride carbonica; il 70% causate dal trasporto stradale. Per questo lo scorso 14 febbraio, il Parlamento europeo ha approvato la proposta di legge che vieterà la vendita di veicoli che emettono CO2 dopo il 2035. Un provvedimento che fa parte del più ampio e ambizioso pacchetto “Pronti per il 55%”, che mira, citando il testo ufficiale, a “ridurre le emissioni nette di almeno il 55 % entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990 e per diventare il primo continente climaticamente neutro entro il 2050”.

 
 
 
 
 
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Un post condiviso da Renew Europe (@reneweurope)

Sebbene approvato con 340 voti favorevoli, 279 contrari e 21 astenuti, la maggioranza Ursula tentenna, con il Ppe che si è opposto assieme ai conservatori dell’ECR e alla destra di Identità e Democrazia: in altri termini, le grandi famiglie europee dell’attuale governo italiano. Una frangia dei popolari, invece, si schiera in favore della manovra green, al fianco dei Verdi, dei socialisti di S&D, della sinistra di NGL, e dei liberali di Renew Europe. Di quest’ultimo gruppo fa parte Jan Huitema, europarlamentare olandese e relatore della proposta: in una videointervista, disponibile sul sito del Parlamento europeo, spiega come cambierà la mobilità dopo il 2035.

 
 
 
 
 
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Un post condiviso da Jan Huitema (@janhuitema)

Tra dodici anni, se si vorrà acquistare un’auto o un furgone nuovi, si potranno scegliere solo veicoli alimentati con motori a emissioni zero: elettrici o a idrogeno, con una tendenza, vista la maggiore accessibilità economica, verso la prima. Banditi invece benzina, diesel, GPL e metano. ATTENZIONE! Il mercato dell’usato e i mezzi attualmente in circolazione non sono coinvolti in questa nuova normativa: si potrà continuare a utilizzarli, anche se potrebbero esserci aumenti su carburanti, assicurazioni e bolli, per disincentivarne l’uso. Al fine di monitorare i progressi sulle emissioni nel trasporto su strada, la Commissione europea si impegnerà, a partire dalla fine del 2025, a pubblicare una relazione con cadenza biennale.

 
 
 
 
 
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Un post condiviso da Parlamento europeo in Italia (@pe_italia)

Questo è il primo passo per la rivoluzione verde messa in cantiere dai vertici di Bruxelles: ma quale è la situazione attuale della mobilità europea? Secondo un rapporto di ACEA (European Automobile Manufacturers’ Association), il parco auto dell’Unione conta oltre 286 milioni di veicoli, composto da:

  • 249 milioni di auto
  • 29,5 milioni di veicoli commerciali leggeri (furgoni e van)
  • 6,4 milioni di veicoli pesanti
  • 714 mila autobus

Dodici anni l’età media di un veicolo, che sale a quattordici per i mezzi pesanti. Solo lo 0.8% delle auto è elettrico, la restante parte è alimentata a benzina (51.1%) e gasolio (41.9%); dominano i motori diesel (oltre il 90%) se si parla invece di furgoni e camion. Un continente, culla di marchi storici dell’industria dell’automotive, legato ai combustibili fossili, che dovrà fare i conti con i dubbi e le difficoltà dei cittadini-guidatori.

 
 
 
 
 
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Un post condiviso da (@___vintagephotogallery)

La prima preoccupazione tocca le tasche dei consumatori: i veicoli elettrici saranno più convenienti? Prendendo in considerazione le auto elettriche più vendute del 2022, il costo medio si aggira intorno ai 33 mila euro. Un investimento iniziale non impossibile ma comunque importante. Considerando i vantaggi a lungo termine, come il costo dell’elettricità (aumenti in bolletta esclusi), la manutenzione e l’esenzione temporanea o totale del bollo, la spesa è sicuramente pari a un’auto con motore endotermico, persino vantaggiosa. Inoltre, il conseguente mercato dell’usato elettrico, a oggi pressoché inesistente, collaborerà ad ampliare la platea di potenziali acquirenti. Bisogna considerare anche eventuali e consistenti incentivi economici alla rottamazione dei mezzi inquinanti, oltre che per l’acquisto di vetture green: visto il debito fuori controllo emerso con il “Bonus 110%, è consigliabile un modello più ragionato rispetto alla cessione del credito.

 
 
 
 
 
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Un post condiviso da InsideEVs Italia (@insideevsitalia)

Diversi gli interrogativi che riguardano gli aspetti macroeconomici: quanto e come questa radicale trasformazione impatterà sull’economia europea? Sicuramente l’aumento della domanda di batterie e semiconduttori potrebbe trovare le industrie europee impreparate, essendo già oggi quasi completamente dipendenti dai paesi asiatici. Strettamente interconnesso è l’aumento del fabbisogno di litio, nichel, manganese, cobalto e grafite, elementi necessari per la fabbricazione di questi. Quanto è reale il rischio di una nuova dipendenza energetica, simile a quella che il Vecchio continente sperimenta con petrolio e gas?

Ma è la potenziale perdita di 600 mila posti di lavoro nella settore automobilistico il tema che più ha agitato le opposizioni europee. Anche il Commissario al mercato Interno, Thierry Breton, ha sottolineato questo rischio, chiedendo e ottenendo una clausola di revisione del provvedimento al 2026: sulla base del gap tra posti di lavoro persi e generati, si potranno così rimodulare date e scadenze. 

 
 
 
 
 
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Un post condiviso da Aliseo (@aliseo)

Mi domando a cosa siamo disposti a rinunciare, o meglio, quanto siamo disposti a cambiare. Stallieri, maniscalchi, operai, tipografi: mestieri scomparsi a causa dell’automazione e dell’innovazione tecnologica (e chissà quanti altri ne scompariranno). Prendiamo ad esempio il maniscalco, oggi quasi del tutto estinto a causa, ironia della sorte, del suo predatore naturale, l’automobile. Se in passato la priorità fosse stata quella di preservare questa professione (non sto parlando di posti di lavoro ma di tipologie di lavoro), oggi probabilmente non riceveremmo pacchi provenienti dall’altra parte d’Europa, direttamente a casa, magari ordinati il giorno prima. I prezzi sarebbero decuplicati a causa dei costi di spedizione, quantificabili in biada per cavalli e stazioni di posta per diligenze. Saremmo disposti a rallentare? A pagare tutto questo? Francamente: non credo. A differenza del passato, conosciamo con largo anticipo i numeri dei lavoratori a rischio, perché non ci si focalizza sulla formazione e sul reinserimento di questi nel medio-lungo termine?

Paolo Gentiloni, Commissario all’Economia, parla di “orizzonte” da dare alle imprese, in modo che possano pianificare investimenti e strategie. Un orizzonte che però non sembra delineato perfettamente in questo primo provvedimento. Si auspica che nei prossimi vengano citati incentivi al trasporto pubblico: se reso capillare ed efficiente, potrebbe ridurre le emissioni nelle grandi città e nelle periferie, oltre che l’acquisto di veicoli, inquinanti e non. Certamente non la soluzione al problema, ma sicuramente un valido aiutante. Manca un piano di potenziamento del trasporto merci su rotaia: se portato fino al cuore dei centri industriali e abitati, collaborerebbe alla diminuzione del traffico, e quindi dell’inquinamento, dei veicoli pesanti. Riguardo quest’ultimi, infine, non rientrano nel blocco del 2035: per loro solo limiti alle emissioni di CO2 nel tempo più stringenti.

Pianeta e suoi abitanti attendono aggiornamenti.

Image CHUTTERSNAP on Unsplash

2560 1703 Federico Ingemi
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