Ha passato una vita a combattere la guerra, sempre dalla parte degli ultimi, sempre contro il potere. Il ricordo di un medico che ha fatto la storia ed è riuscito a battere il nemico più subdolo: l’ipocrisia
Non si può definire altrimenti, fuor di retorica, uno che a rischio della propria vita e a quella dei suoi collaboratori ha curato più di undici milioni di pazienti, in territori di guerra: un eroe italiano.
Gino Strada l’ho conosciuto appena, avendolo avuto solo una volta ospite in un mio programma; conoscevo meglio la prima moglie Teresa Sarti, cofondatrice con lui di Emergency, avendola sempre avuta come ospite quando c’era in atto una campagna di solidarietà nei confronti dell’associazione umanitaria. Oltre allo sgomento per la perdita di una voce libera come Strada, la cosa che più mi ha impressionato è che sono passati oltre dieci anni dalla morte di Teresa, avrei detto molti meno. In realtà non sapevo nemmeno che si fosse risposato.
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Di lui ho un ricordo di forte riconoscenza. Era l’estate del 2006 e per amicizia d’infanzia riuscii, per Rai Tre, ad avere ospite Daniele Mastrogiacomo, inviato di guerra per “La Repubblica”. Fu una bella intervista, condotta da Michele Mirabella, dove Daniele illustrava molto bene i vari modi “di stare sul campo”: o fai un giornalismo embedded e passi i resoconti al riparo dei reparti militari che si seguono (nella maggior parte dei casi comodamente in albergo) oppure rischi la pelle sui campi di battaglia, dando conto di persona delle opposte fazioni.
Mastrogiacomo è di quest’ultima razza, uno che non si accontenta mai. Nella primavera del 2007 il giornalista viene rapito dai Talebani che uccidono un suo collaboratore; lo accusano di spionaggio e lo condannano a morte. In quei giorni mi trovavo a riposo ma telefono subito in redazione per far trasmettere la replica di quell’intervista; visto che l’accusa era di spionaggio, volevamo dimostrare che Daniele era un giornalista da più di trent’anni, per di più di una prestigiosa testata.
Fu un miracolo se si salvò, quando tutti lo davano per spacciato e dietro quel miracolo ci fu anche la mano di Gino Strada che, infatti, fu il primo ad accoglierlo una volta liberato.
Strada era fortemente contrario ad ogni tipo di guerra ed era costretto, per scelta di vita e responsabilità, a vivere dentro le più svariate guerre; lui e la moglie hanno aperto decine di centri Emergency per curare chiunque avesse bisogno, senza fare distinzione della fazione d’appartenenza.
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Una delle sue più grandi amarezze è stata quella di aver scoperto che anche l’Italia ha bisogno di centri di assistenza, dal momento che a milioni di italiani è preclusa l’assistenza sanitaria.
Le sue idee e la sua coerenza davano fastidio a molti, sia in Patria che all’estero; Salvini, quando era Ministro degli Interni, parlando delle ONG, arrivò a dichiarare: “La fine della mangiatoia dell’immigrazione clandestina li sta facendo impazzire”. Oggi, nel cordoglio generale lo definisce: “Un uomo di valore”. Bontà sua!
Accusare Gino Strada di avere avuto interessi occulti nell’opera umanitaria che sosteneva non solo è ridicolo, considerando che ha vissuto la maggior parte della sua vita all’inferno, ma totalmente fuori dalla realtà: pensate a quanto avrebbe potuto guadagnare dalla professione un cardio chirurgo capace di operare a cuore aperto sotto le bombe. Non c’è cifra, altro che Barnard.
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Mi piace pensare che se la vita fosse un film, quello di Gino Strada sarebbe stato di sicuro “M.A.S.H.”, di Robert Altman. Non tanto per la trama intrisa di goliardia, quanto per la dolcezza della colonna sonora.