Il fenomeno di airbnbizzazione
Quattro settimane, tendenzialmente ad agosto, albergo a pensione completa; il tutto prenotato in un’agenzia viaggi. Un’altra epoca. La vacanza nel Belpaese è radicalmente cambiata: le ferie si sono accorciate, i prezzi aumentati, alcune formule di ricezione e prenotazione ormai sparite. La causa è sicuramente economica, ma c’è anche un fattore culturale che ha portato, soprattutto le nuove generazioni, a una fruizione del turismo molto diversa. Con questa, anche nuove criticità.
Un fenomeno che sicuramente ha preso piede nell’ultimo decennio, in Italia come in tutto il mondo, e che ha contribuito al cambiamento è Airbnb.
Brian Chesky e Joe Gebbia, due fondatori della start-up, nel 2008 si trovano in balia della crisi finanziaria più importante dopo quella del ‘29. Per arrotondare, decidono di affittare tre posti letto (dei materassini ad aria gonfiati nel soggiorno, da qui il nome dell’azienda) a prezzi modici: nasce così Airbnb. L’ascesa è rapidissima e in poco più di dieci anni l’azienda si è imposta nel mercato ricettivo mondiale, con numeri che la fanno accedere direttamente al circolo dei giganti della gig economy: 6 milioni di annunci attivi, oltre 1 miliardo di check-in, 4 milioni di host sparsi in 220 paesi del mondo. Grotte, iurte, torri, barche, container, case sull’albero: è possibile pernottare in qualsiasi tipologia di struttura. Ma l’azienda va oltre il pernottamento, proponendo un’infinita serie di esperienze, virtuali e in loco. Tutte le richieste sono accontentate: lettura dei tarocchi; un corso di addominali tenuto da un atleta olimpico; safari con leopardi; lezioni di K-pop; corsi di cucina per la preparazione di gnocchi. Insomma una Mirabilandia del turismo e dell’intrattenimento.
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L’avvento di questa piattaforma ha sicuramente permesso ai proprietari di case di poter guadagnare qualcosa e, ai molti che propongono esperienze, di fare della propria passione una fonte di guadagno. Ci sono però delle conseguenze, dei fattori negativi, derivanti dall’uso intensivo di Airbnb? Il danno è già stato fatto? Esistono soluzioni alternative? A questi interrogativi ha provato a rispondere Riccardo Staglianò nel libro L’affittacamere del mondo. Airbnb è la nostra salvezza o la rovina delle città? (Einaudi 2020), in cui ha raccontato il punto di vista degli host, le preoccupazioni degli albergatori e le vicende fiscali che hanno coinvolto la piattaforma.
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Certamente l’avvento di Airbnb ha inciso sul mercato immobiliare delle grandi città d’arte, specie in Italia, quinto paese più visitato del mondo. Grandi gruppi immobiliari acquistano pacchetti di appartamenti destinandoli all’uso turistico, sottraendoli all’uso residenziale e contribuendo così all’innalzamento dei prezzi. Non proprio un’attività per arrotondare insomma. Il fenomeno di airbnbizzazione delle città non ha sicuramente aiutato le imprese alberghiere, un settore che in Italia conta 32.000 strutture e centinaia di migliaia di addetti ai lavori, indotto escluso. Ovviamente non bisogna vedere in Airbnb il capro espiatorio della crisi del settore. Come lo stesso direttore generale di Federalberghi, Alessandro Massimo Nucara, racconta all’autore del libro: “Il turismo cresce, è un mercato grande e c’è posto per tutti quelli che rispettano le regole”. C’è infatti una disparità in termini fiscali tra alberghi e piattaforma: Ires, Irap, Iva, Imu, Tari, Siae, canone tv sono solo alcuni degli acronimi fiscali a carico dell’imprenditore; mentre il colosso digitale dovrebbe pagare una cedolare secca al 21%, varata nel 2017 dal governo Gentiloni. Dovrebbe non a caso: non sono mancati ricorsi al Tar e mancati versamenti.
Esiste un’alternativa più sostenibile?
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Fairbnb è una cooperativa di lavoratori, nata nel 2018 con l’obiettivo di promuovere un turismo sostenibile. Pochi e semplici princìpi: “one Host – one house”, ovvero ogni host può mettere a disposizione solamente un’abitazione, evitando così la creazione di grandi gruppi immobiliari. Inoltre, è richiesta una commissione all’inquilino del 15%, distribuita in questo modo: metà va alla cooperativa, metà reinvestita “in progetti sociali che contrastano gli effetti negativi del turismo. I residenti voteranno per sostenere quei progetti che vogliono vedere nei loro quartieri: cooperative alimentari, parchi giochi, progetti ecologici, caffè comunitari”.
Ad oggi presente in una decina di stati europei, tra cui Italia, Francia e Belgio, Fairbnb è una piattaforma made in Italy coraggiosa, che sfida i giganti digitali. Saranno soluzioni come queste il futuro del turismo?