L’Harry’s Bar di Venezia compie novanta anni ed è appena stato riconosciuto dal Ministero dei Beni Culturali, come Monumento del Patrimonio Nazionale. Storia del locale in cui, dal 1931, il “Bel mondo” si dà appuntamento.
C’è una parte di Hemingway in James Bond, l’agente 007 con licenza di uccidere. In tutti i film appare una scena dove ordina un Martini Cocktail agitato, non shakerato.
In realtà la lezione dello scrittore va oltre: “Si versa nel mixing glass due quarti di Martini Dry nel ghiaccio a cubetti, si agita per bene e poi si butta il Vermut, del quale rimane solo l’aroma. Nel ghiaccio rimasto si versa sei quarti di Gin, prelevato dal freezer, si agita per poi filtrare con lo strainer nell’apposito bicchiere, la maxima coppa. Le olive sono a piacere, ma inutili”.
“Così me la raccontava mio padre quando avevo circa dodici anni, seduti tra i tavoli dell’Harry’s Bar a Venezia, mentre con fastidio scansava le olive dalla maxima coppa” .
La leggenda vuole che Hemingway scrisse il libro “Al di là del fiume tra gli alberi” su quegli stessi tavoli, tra un Martini e l’altro; in realtà, memore di una caccia “in botte” alle anatre, nella laguna di Caorle, lo scrisse tra Cortina e Cuba.
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“Il Bar”, come lo chiama Arrigo Cipriani, il proprietario, compie novanta anni ed è appena stato riconosciuto dal Ministero dei Beni Culturali, come Monumento del Patrimonio Nazionale.
La storia della sua fondazione è nota ma vale la pena riassumerla brevemente perché è una storia del tempo che fu, dove i rapporti umani erano ancora un valore.
Giuseppe Cipriani, padre di Arrigo e all’epoca barman nell’hotel Europa & Britannia, prestò diecimila lire a un giovane cliente di nome Harry Pickering per permettergli di rientrare in America. Due anni dopo, il giovane tornò a Venezia e in segno di gratitudine restituì a Giuseppe l’intera somma aggiungendovi 30.000 lire perché potesse aprire una sua attività in proprio. Cipriani decise quindi di chiamare il suo locale “Harry’s Bar” in onore del suo benefattore.
Da quel lontano 13 maggio 1931, giorno dell’inaugurazione, il “Bel mondo” intero si è seduto nelle poltroncine del “Bar”, davanti a tavoli più bassi della norma e desinato davanti a una mise en place tipicamente da dessert.
Nobili d’Europa, stars di Hollywood, politici nostrani e internazionali, artisti, premi Nobel e tanta, tanta gente comune, giorno dopo giorno hanno riempito la piccola sala del ristorante o bevuto un aperitivo seduti al bancone del bar. Tranne in due occasioni: la seconda Guerra Mondiale e durante il lockdown dovuto alla recente pandemia, quando il locale è rimasto chiuso.
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Un locale dove non si entra in bermuda, non si fanno selfie ed è vietato l’uso del cellulare con la scusa che: “Le onde magnetiche interferiscono con la preparazione del risotto primavera”, fu l’esilarante risposta di Arrigo di fronte a un cliente che protestava. Un locale dove una volta i camerieri erano solo maschi mentre oggi: “Adesso ho cameriere fantastiche, sarei contentissimo di avere tutte donne, tranne il barman, naturalmente”, afferma il proprietario.
Ed è proprio dietro il bancone degli aperitivi che Giuseppe inventa il Bellini, divenuto in poco tempo un drink internazionale, a base di polpa di pesca e prosecco e così chiamato perché il colore rosato del cocktail gli ricordò il colore della toga di un santo in un dipinto del pittore veneziano, Giovanni Bellini.
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L’associazione con l’arte pittorica continua quando Giuseppe andò incontro alle esigenze della contessa Amalia Mocenigo, alla quale il dottore vietò di mangiare carne cotta; inventò un piatto a base di sottilissime fettine di filetto crude, condite con una salsa “Universale”, sempre di sua invenzione e ottima per carne e pesce.
Il colore della carne cruda gli ricordava il rosso intenso del pittore veneziano Vittore Carpaccio che proprio in quei giorni era presente con una mostra nel Palazzo Ducale di Venezia.
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Contaminazioni dovute alla continua frequentazione di intellettuali e artisti fra i tavoli dell’Harry’s Bar, testimoni di mille segreti avvolti dalla discrezione del locale per i suoi clienti. Qui nacque l’incontro e il successivo struggente amore tra la Callas e Onassis; qui Hemingway, di passaggio per Venezia prima di andare a Cuba, rivide la giovane nobile Adriana Ivancich con la quale intrattenne una fitta corrispondenza.
Chissà quali e quanti accordi politici, commerciali, tradimenti e doppi giochi si sono perpetrati tra un risotto e un fegato alla veneziana, serviti su quelle mise en place da dessert.
Gran parte della Storia del Novecento ha sostato tra le mura di questo Monumento Nazionale che ha insegnato al mondo l’Arte del ricevere: “Bisogna servire gli altri come vorresti essere servito. Come in una trattoria, dove ci si sente subito bene. L’accoglienza è un sorriso, il modo di servire. L’accoglienza deve essere anche un po’ veneta, sicuramente italiana” è la filosofia di Arrigo Cipriani.
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