Usare la creatività per essere liberi
“Sono intorno a me, ma non parlano con me / Sono come me, ma si sentono meglio” cantava Frankie Hi-Nrg Mc in una delle sue canzoni più famose, Quelli che benpensano. Svuotandoli di tutte le possibili accezioni negative e dell’originaria critica nei confronti dei borghesi benpensanti, questi versi potrebbero andare bene anche oggi per raccontare le comunità di cosplayer e LARP (Live Action Role-Playing) italiane.
Parliamo di ragazzi e ragazze, uomini e donne che vivono tra di noi. Possono essere il nostro collega timido o la vicina della porta accanto, ma spesso non ce ne accorgiamo. O se lo facciamo fatichiamo a capirli. Invece sono persone appassionate di film, videogiochi, anime e manga che condividono ispirazioni e valori grazie a un passatempo che è a tutti gli effetti una forma d’arte, seppur non convenzionale.
Dalla creazione dei costumi all’interpretazione dei personaggi, alla partecipazione a eventi e competizioni sia fisiche che online, questa attività offre loro un’opportunità di esprimere la propria creatività e di far parte di una comunità. Per qualcuno è un hobby, per altri è diventato lavoro.
La campagna di Eastpak
È per questi motivi che il brand americano Eastpak ha coinvolto i cosplayer nella propria campagna 2024, legando lo storico slogan Built to Resist al coraggio di essere se stessi in tutte le maniere possibili; un messaggio che nerd e appassionati di cultura geek portano avanti da decenni.
Secondo Eastpak, che ha anche organizzato a marzo un evento a tema a Milano, queste comunità sono state l’avanguardia di una resistenza positiva, opponendosi alla pressione dei pari, al bullismo e a una routine soffocante. L’invito è quindi a sfidare la monotonia e a esprimere la propria personalità anche attraverso le borse e gli accessori, un ulteriore modo di permettere a ognuno di manifestare il proprio stile o alter-ego.
Lo spiegano meglio alcuni tra di loro.
Essere una comunità
“Essere cosplayer significa essere parte di una comunità grandissima, dove ognuno può esprimersi”, racconta Luke Nakamura, progettista meccanico della provincia di Novara e cosplayer da una decina d’anni. Per Luke quello di cui lui e gli altri fanno parte è un micromondo dove “poter essere chiunque, inclusi sé stessi senza le maschere che invece si è costretti a portare nella vita di ogni giorno”.
Anche secondo Matt Love, safety-man torinese, “fare parte di una comunità cosplay significa abbattere i muri delle diversità attraverso la creatività, il rispetto e la collaborazione”. Il cosplay, dice, “unisce persone diverse e dimostra che le differenze possono essere una fonte di ispirazione anziché un ostacolo”.
La community italiana è “sinonimo di condivisione” per Atena, cosplayer e cosmaker italo-brasiliana appassionata di gaming. Quello che le piace in particolare è l’assenza di giudizi e la facilità di fare amicizia di chi popola questo gruppo eterogeneo. Il cosplay, però, può essere anche un mezzo per affrontare temi importanti, spiega: “Uno dei più frequenti per me” spiega “sono le molestie sessuali” che le cosplayer possono subire dal vivo e online e su cui lei come altre sensibilizzano.
Una forma d’arte e di libertà
Il cosplay per Matt Love è una “forma d’arte che unisce” a cui si è avvicinato a partire dal 2018 e grazie alla quale è riuscito “ad uscire da momenti difficili”. La possibilità di mettere a frutto la sua creatività lo ha aiutato a trovare il proprio posto nel mondo e ora non potrebbe essere più felice.
Atena sottolinea invece l’unicità dell’interpretazione che ogni cosplayer cerca di dare al proprio personaggio “che non sarà mai identica ad un’altra dello stesso”. A tutti è poi consentito di “impersonare qualsiasi personaggio senza alcun tipo di limitazione o barriera”, inclusa l’identità di genere. Un ragazzo può fare il personaggio di una ragazza o il contrario, senza alcun problema.
Anche Luke parla di una comunità libera alla cui base ci sono estro e inventiva: “un punto in comune è la voglia di creare o riprodurre qualcosa, alcuni lo fanno costruendo e cucendo, altri replicando immagini o addirittura scene”.
Studio e passione
Matt Love per realizzare il costume di Super Baby Vegeta di Dragon Ball GT da zero ha impiegato circa sei-sette mesi, lavorando nel tempo libero. Non finisce qui. È altrettanto importante studiare il comportamento del personaggio che si interpreta, spiegano i tre cosplayer, perché una volta arrivati in fiera o su un palco di una gara è importantissimo “essere” il personaggio che si rappresenta.
Anche Atena ci tiene a trasmettere “la dedizione, il tempo e le soddisfazioni dietro a questo mondo che spesso viene ancora visto come una carnevalata”. I suoi personaggi sono per lo più ispirati a League of Legends, come l’ultimo, di nome Samira, e sono creati da lei dall’inizio alla fine, “sia la parte sartoriale, che i prop e le parrucche”.
Per realizzare il personaggio di Gray Fox, Luke racconta di aver impiegato 250 ore di progettazione, altrettante ore di stampa 3D e oltre 500 ore di costruzione, verniciatura, finitura e montaggio.
Dietro tutto questo impegno c’è però molto più di un seguito sui social o della vittoria di un contest. Si ritorna alla “resistenza” positiva, alla condivisione e alla continua scoperta. Come afferma ancora Atena, “ci si trasforma per divertimento, ma a volte anche per conoscere meglio sé stessi”.
Illustrazione di Gloria Dozio – Acrimònia Studios
Immagini di Probeat Agency