Luoghi di ritrovo chiusi, porte sbarrate a scuola, l’incubo del contagio: ignorati dai politici e messi alla berlina dai media, sono i ragazzi a pagare il tributo più alto al virus. Chi li salverà?
A differenza del primo ministro italiano, Giuseppe Conte, che nell’annunciare a più riprese le misure per contenere la seconda ondata della pandemia, ha completamente ignorato il tema giovani, il presidente francese Emmanuel Macron e la cancelliera tedesca Angela Merkel, in analoghe circostanze, un piccolo atto verbale lo hanno concesso. Niente di straordinario, per carità, ma almeno il riconoscimento che esiste un problema. “È dura avere vent’anni nel 2020, dunque non voglio dare lezioni ai giovani – ha detto Macron nel corso di un’intervista televisiva -. Vorrei che capissero che, per alcune settimane e mesi, dovremo fare degli sforzi”. E Angela Merkel, la donna più potente del mondo, si è rivolta ai ragazzi chiedendo un radicale cambio di passo: “Dobbiamo invitare soprattutto i giovani a evitare di fare feste oggi per avere una buona vita domani o dopodomani”.
Luoghi di ritrovo interdetti, discoteche cancellate, bar, ristoranti e pub chiusi, così come piscine, palestre, centri sportivi. L’ordine rivolto ai giovani è inequivocabile: non uscite, state a casa. E non andate nemmeno a scuola. Basta essersi affacciati all’età dell’adolescenza, che il divieto di accesso è assicurato. In Italia almeno per gli alunni degli istituti superiori. E le lezioni universitarie? In remoto. Così come il lavoro: smart working. L’attacco cui sono sottoposte le nuove generazioni, in ragione di misure messe in campo per tutelare la salute pubblica, non ha precedenti. Ma alla salute mentale dei giovani chi ci pensa?
“La verità – afferma Angelo Righetti, psichiatra, neurologo, esperto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e dell’Onu – è che siamo di fronte a un processo di derealizzazione, una perdita del senso della realtà e il virus funge da acceleratore di questo processo. Il danno prevalente è sui ragazzi. Il contesto non è più educativo e dunque si impedisce ai giovani di sviluppare la capacità di trasgredire. In questo modo li si tiene sotto controllo, isolandoli, impedendo loro di sviluppare una socialità su cui cementare i fattori di crescita. E questo crea gravi squilibri”.
Squilibri che in questa particolare fase si vanno intensificando al punto tale che per un giovane, il fatto di aver contratto il virus, in molti casi produce un forte senso di colpa, come se la malattia fosse determinata dall’inopportunità delle proprie azioni e non dall’aggressività di un agente virale che sta mettendo in ginocchio il pianeta. Un luogo comune, quello che attribuisce ai giovani la responsabilità del contagio, che rimbalza ossessivamente sui mezzi di comunicazione e s’insinua pericolosamente nell’opinione pubblica. “Purtroppo – afferma Luana Sevirio, psicologa specializzata in psicoterapia sistemico-relazionale e familiare – con l’esplosione della pandemia questo fenomeno si sta affermando in modo prepotente. Ci sono soggetti che finiscono per essere travolti e si ritrovano in uno stato di prostrazione tale da diventare patologico. Ma il problema è essenzialmente culturale. Il fatto è che funziona tutto come all’interno di una famiglia, dove l’anello più debole, quello che salta per primo, è quello del giovane. Il bambino è protetto, sta dentro una campana di vetro. L’adulto è convinto di essere dalla parte della ragione. Il giovane è il primo che finisce all’angolo, perché portatore di un malessere più grande, quello che ha registrato affacciandosi nella società”.
Una società che lo considera come un intruso, un nemico da mettere all’angolo, da tenere sotto controllo a qualunque costo. Diventa così facile prevedere, come affermano i ricercatori di Eurofound dopo aver sottoposto 85000 cittadini dell’Unione Europea a un breve questionario, che i ragazzi saranno le prime vittime della crisi economica derivante dal Covid-19. “I risultati – si legge nel documento diffuso dall’agenzia – mostrano come i giovani d’Europa stiano affrontando la crisi con fatica, tanto che i dati segnalano il peggior livello di benessere psicologico e una maggiore solitudine rispetto ad altre fasce di età, derivante da un’importante perdita di posti di lavoro e da una drammatica riduzione dell’orario insieme a una insicurezza generale sul futuro professionale e finanziario”.
Ma che società è quella che mette a margine le nuove generazioni, ostacola il formarsi di nuove famiglie, non combatte il pericoloso inabissarsi del tasso di natalità e dunque mina in modo palese il proprio futuro?
“Una gerontocrazia, che detiene il potere e lo rafforza attraverso una burocrazia fondata sulle proibizioni – afferma Angelo Righetti – . I giovani sono utili solo in quanto consumatori, da ingrassare come porci. Nessuno insegna più la serietà, l’etica e la necessità del lavoro. Il miraggio è vivere di rendita, ma la rendita non può essere un obiettivo perseguibile se si elimina il lavoro. Alla gioventù si sostituisce il giovanilismo che fornisce a ogni individuo la licenza di sentirsi giovane. I vecchi vengono ammassati nelle case di riposo come scarti, non persone in grado di insegnarti la vita. I borghi si svuotano, le metropoli si riempiono e la povertà avanza. La politica non indica più alcun orizzonte, perché non ha gli strumenti culturali per farlo. Resta solo una voce che in questo scenario riesce a perforare il muro dell’ipocrisia: quella di Papa Francesco. Basta leggere l’enciclica sulla fraternità. La portata è dirompente”. Che detto da un medico che ha vissuto da protagonista le battaglie di libertà del 1968, chiuso i manicomi e dedicato la vita a combattere il potere precostituito, fa una certa impressione.
La conclusione è semplice: per rimettere i giovani al centro della società sarebbe necessaria una rivoluzione che magari ricalchi lo spartito sessantottino. Partirà da Piazza San Pietro?
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