La pandemia ci ha costretti all’essenziale
La crisi globale, che noi tutti stiamo vivendo in queste settimane, porterà a forti ripercussioni. Queste conseguenze colpiranno a trecentosessanta gradi i nostri atteggiamenti, compreso il modo di rapportarci all’abbigliamento. Compriamo meno, poiché impossibilitati ad andare per negozi. Se pensiamo a lungo termine, probabilmente, questa “momentanea” abitudine, potrebbe diventare consuetudine.
Qualcosa di simile era già accaduto in passato, con la crisi finanziaria del 2008. Il fashion system concluse un decennio fatto di stravaganze, aprendo le porte ad un’estetica pratica e basic. Questo fenomeno di moda austera e understated era capitanato dalle silhouette fluide di Phoebe Philo per Céline, dalla fine della logomania e da Bottega Veneta con la sua iconica tramatura di pelle intrecciata.
Per essere cool negli anni 10’ di questo millennio, bastavano un paio di jeans, una t-shirt bianca e un paio di scarpe semplici.
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Da qui, la nascita di una corrente unisex e senza pretese chiamata Normcore: normale al massimo. Con il tempo, questa tendenza si affievolì fino a spegnersi.
L’approdo di Alessandro Michele da Gucci e l’uscita di Phoebe Philo da Céline, sancì la vera fine di questo periodo purista nel 2017. La seconda metà degli anni 10’ è stata dominata dallo streetwear, dalla vistosità di stampe animalier e il ritorno dei loghi (trend che avrebbe innoridito qualsiasi purista della Normcore).
Arriviamo ad oggi, dove, all’improvviso, ci siamo trovati a combattere contro un virus globale e la moda sembrava già pronta a un cambio di rotta. Guardando le ultime collezioni del panorama mondiale, ho notato un cambiamento simile al decennio di cui vi parlavo prima: il coronavirus ha velocizzato un cambiamento già in atto.
Un ritorno all’attenzione sartoriale, a una linea classica, androgina e genderless, in grado di durare nel tempo e di essere tramandata di generazione in generazione. Si preferiscono capi pratici ma di alta qualità, con tonalità neutre e stabili, che siano sostenibili e dalla provenienza chiara e dimostrabile.
L’incertezza porta le persone a concentrarsi su cosa è importante e ad acquistare in modo più attento e mirato. Non a caso brand come TheRow e Jil Sander sono esempi di una crescente notorietà per l’attenzione alla vestibilità d’avanguardia e ai tessuti dei capi.
L’essenzialità si manifesta in diverse sfumature, che sebbene possano sembrare agli antipodi si compensano, trovando sfogo nei morbidi volumi esagerati e nell’oversize mascolino dei capi di Daniel Lee, allievo di Phoebe Philo, per Bottega Veneta. Un altro esempio di brand che è riuscito ad imporre la sua forza estetica e riportando alla luce il minimalismo intrinseco nel proprio hetitage.
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Perfino, Alessandro Michele ha deciso di spogliare e liberare le sue creazioni dallo stile barocco che lo contraddistingue da sempre.
Insomma, i brand che hanno saputo coltivare la loro identità nel tempo e in modo coerente, che si sono creati un seguito fedele ai loro ideali, sono le scommesse più sicure in questo momento critico.
Infine, questo blocco totale delle nostre abitudini, conseguenza dell’emergenza sanitaria in atto, potrebbe rappresentare un’opportunità, non un ostacolo. Un’occasione per ridurre il superfluo, il non – necessario. Le tendenze minimaliste dello scorso decennio ci hanno insegnato che nelle situazioni di difficoltà si diventa più concreti.
Possiamo ripartire dalle basi (o dal basic in questo caso) per darci una seconda possibilità.