La rivolta francese, il gap italiano, la destra che dilaga e la politica senza risposte. Eppure una strada per uscire dal tunnel si può tracciare. La linea ce la indica Giulio Santagata, un ragazzo di 74 anni che ha fatto il Sessantotto e condotto Prodi alla vittoria contro Berlusconi. Per due volte
A 74 anni si può essere molto giovani, avere un’idea chiara di futuro, indicare la strada per renderlo migliore. Si può essere, come Giulio Santagata, anche molto incazzati, soffrire del forte mal di stomaco prodotto dalla realtà che ci circonda e trovare dentro di sé la forza di trasformare il mal di stomaco in energia di contrasto. In fondo bastano 150 pagine per regalare uno squarcio di luce che oscuri, anche solo per poche ore, gli schermi dell’ipocrisia dietro i quali ci nascondiamo. Circondandoci di cuoricini, pollicioni, faccine e insulti a costo zero. Bastano le 150 pagine de “L’ira del riformista”, il saggio edito da Piemme con il quale l’ex parlamentare suggerisce i percorsi per uscire da questo stato di cose in cui tutto sembra andare alla rovescia.
Giulio Santagata è da più di trent’anni consigliere economico di Romano Prodi, autore della prefazione del libro. “È stato – recita la terza di copertina de L’ira del riformista – ideatore e organizzatore delle due campagne elettorali che hanno portato alla vittoria dell’Ulivo nel 1996 e nel 2006”. L’incubo di Berlusconi, in sostanza, se è vero, com’è vero, che per due volte ha condotto alla vittoria Prodi, di cui è stato ministro, buttando giù di sella il Cavaliere.
A differenza della stragrande maggioranza dei politici non fissa lo sguardo sulla punta dei suoi piedi, ma lo proietta in avanti. E non procede per slogan, ma per ragionamenti. Il suo faro sono le nuove generazioni, perno su cui ruota un saggio che ha visto la luce lo scorso novembre.
Santagata, partiamo dalla Francia. I giovani stanno mettendo in ginocchio il paese. Cosa sta succedendo?
Succede che il processo di integrazione, la multiculturalità non funziona.
Cioè?
Dobbiamo prendere atto che i figli dei figli degli emigrati non hanno culturalmente voglia di stare dentro la società.
E questo perché?
La Francia ha aperto le porte agli immigrati ma evidentemente non ha la capacità di progettare un futuro per i loro figli. I padri si accontentavano di essere riusciti a raggiungere l’Europa, ai figli non basta più. E non solo a loro.
In che senso?
Nel senso che quei ragazzi non sono tutti di religione islamica e origine africana. Insieme a loro ci sono anche francesi da molte generazioni le cui famiglie vivono una condizione di disagio. Poi c’è un terzo elemento.
Quale?
Quello per cui la rivoluzione è bella, divertente. Anche noi che abbiamo fatto il Sessantotto ci siamo divertiti a farla. Il vero problema è la violenza.
Le immagini che arrivano da lassù fanno paura.
È chiaro che se cresci giocando alla play station fai fatica a non diventare violento. La violenza la digerisci, la banalizzi e la pratichi serenamente.
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La politica dà l’impressione di non avere risposte. Se non reprimere.
Il guaio grosso è che ci sono problemi su scala globale che la politica non riesce più a governare. Esistono multinazionali che hanno una capitalizzazione superiore al PIL di un paese medio. Cosa può fare la politica?.
Ce lo dica lei.
Piuttosto che scomparire si adatta a fare da parafulmine. Ma un giovane che vede che la politica non risolve i problemi si allontana ancora di più. E non va a votare.
In Italia stiamo meglio?
Stiamo peggio, si fidi. Il termometro è il lavoro.
Vuole dire che non siamo un paese per giovani?
Direi proprio di no. Abbiamo 2,5 milioni di ragazzi che non studiano, non lavorano o si trovano in fase di apprendistato: i cosiddetti NEET. Uno su quattro non è inserito in alcun percorso formativo o lavorativo.
E quelli che lavorano?
Passano tutti dalla strada della precarietà. Se va bene fanno i precari per quattro o cinque anni, ma c’è chi lo resta per tutta la vita.
Precari con stipendi da fame.
Purtroppo è così, da noi il salario medio si è ridotto del 2.5 per centro tra il 1990 e il 2020. In Francia è cresciuto del 31 per cento, in Germania del 34.
Come è potuto succedere?
Le nostre imprese hanno fatto grandi affari.
Ci spieghi.
Mantenendo basso il costo del lavoro hanno rafforzato la competitività, spesso senza preoccuparsi di innovare. L’export ha continuato a marciare a spese dei lavoratori.
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Che avrebbero potuto ribellarsi, no?
Se non avessero avuto al collo il cappio della delocalizzazione.
Delocalizzazione?
Delocalizzazione: vuoi uno stipendio più alto? Benissimo: io chiudo e riapro dove il lavoro costa meno. Noi la globalizzazione l’abbiamo declinata così.
Il salario minimo è una soluzione?
È qualcosa. Un piccolo passo in avanti. Indica una direzione. Questo gioco non lo puoi tirare all’infinito. Se un ingegnere italiano guadagna il 40 per cento in meno di un ingegnere tedesco, se un medico italiano guadagna la metà di uno irlandese vuol dire che bisogna cambiare strada. Altrimenti finisci nel burrone.
Eppure il governo sostiene che le cose adesso vanno bene. Cresciamo più della media europea.
La destra fa il suo mestiere. Dice che si stava meglio quando si stava peggio. La sua risposta è non dare risposte. Continua a spostare la palla avanti e a cercare i nemici. Gli immigrati, i burocrati, i comunisti.
Però ha preso una valanga di voti. E continua a prenderli.
La sinistra ha commesso molti errori. Per farci accettare siamo stati liberisti più dei liberisti stessi. E questo per troppi anni. La destra ha continuato a fare la destra. Addossando tutte le colpe ai comunisti anche quando i comunisti non c’erano più.
E dunque?
È arrivato il momento di rimettere in modo un processo di partecipazione. Bisogna che la gente si incontri, discuta, cerchi delle soluzioni, le proponga. Torni a credere.
Ma la gente sta in casa davanti al telefonino.
Guardi, in Italia ci sono 5 milioni di volontari. Abbiamo una valanga di persone che fa della solidarietà una ragione di vita. Gente che si incontra, si dà da fare. Ci sono le associazioni sportive. Bisogna ripartire da lì. Raccogliere le istanze che arrivano dal basso e portarle in parlamento.
E questo chi lo deve fare?
La sinistra. I giovani hanno una forte coscienza ambientalista? Facciamo in modo che questa coscienza trovi una direzione. I ragazzi hanno tempo e hanno energia. Sfruttiamoli.
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A sinistra però, abbia pazienza, c’è una certa carenza di leadership.
Basta con questa storia dei leader. Cerchiamo i leader come si cercano i funghi. Ribaltiamo il tavolo. Partiamo dal diritto alla casa, dal diritto allo studio, dai diritti sociali. I leader arriveranno, stia tranquillo: quando è il momento i leader saltano fuori.
Illustrazione di Gloria Dozio – Acrimònia Studios
Foto Giuliano Riva