“Il falò delle vanità” accadde a Firenze, 1497, dopo la cacciata dei Medici il frate Girolamo Savonarola ordina che siano bruciati tutti gli oggetti considerati “peccaminosi”; vengono dati alle fiamme specchi, quadri, abiti e volumi “immorali”
Ma la furia iconoclasta ha origini che risalgono all’Impero Bizantino, nell’VIII secolo, dove si affermò una dottrina religiosa, sia nel Islam che nel Cattolicesimo, contraria ad un uso improprio di immagine religiose. Da li tutte le derive portate in seguito dal calvinismo e il movimento puritano, sviluppatesi con la Riforma protestante, ovvero un’opposizione spregiudicata e violenta verso le convenzioni, le ideologie e i principi comunemente accettati dalla società.
Di ben altro stampo la provocazione dell’artista Damien Hirst che, in un gesto di sapore Dadaista, ha deciso di bruciare alcune sue opere NFT, del valore di dieci milioni di sterline, nel nome della “trasformazione dell’Arte”. Non iconoclastia ma puro marketing!
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Non è dato a sapere se Luigi Bersani e Walter Verini, stimati esponenti della sinistra, si siano ispirati all’artista britannico nel richiedere la rimozione delle foto di Benito Mussolini dai corridoi del Mise (Bersani) e la medesima rimozione dei busti dello stesso Duce dal salotto della casa privata del senatore Ignazio La Russa, neo Presidente del Senato. (Verini)
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Il poeta tedesco Heinrich Heine ebbe a dire: “dove si bruciano i libri, alla fine si bruceranno gli uomini”. Il rogo dei libri è una delle forme più volgari della furia iconoclasta, ha origini fin dall’antica Cina del 213 a.c., passa per la “crimen maiestatis” istituita dal senato romano, attraversa il già citato falò della vanità, prosegue con la santa Inquisizione e il suo indice dei libri proibiti di Giordano Bruno e la messa al rogo del Talmud, il libro sacro della religione ebraica.
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In tempi moderni, sorvolando sull’odierna follia iconoclasta dei talebani, nel 1961 si consumò in Italia, nel cortile della procura di Varese, il rogo dei libri dell’opera “Storielle, racconti e raccontini” del marchese de Sade, pubblicata dall’editore Luigi Veronelli, con l’accusa di oscenità.
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Ecco, più che al gesto dadaista, sembrano queste le fonti primordiali alle quali si ispirano i due stimati esponenti della sinistra che sembrano scordare che Benito Mussolini è parte integrante della storia patria e che almeno fino al 1936 una larghissima maggioranza di italiani aderì spontaneamente al fascismo e questo è un fatto con il quale il paese ancora non riesce a fare i conti.
Credit Image: Vivien Buaron
Da qui l’altissimo e commovente discorso della senatrice Liliana Segre, declamato nel suo giorno di presidenza in Senato per l’elezione di Ignazio La Russa. Se poi si aggiunge la sguaiata maleducazione di chi si permette di sindacare su cosa si possa collezionare o meno in casa propria, si ha il quadro completo del perché l’intera sinistra italiana sia da rifondare, a partire dall’intera classe dirigente capace solo di becera demagogia.