Oltre la Body Positivity
È possibile amare sempre il proprio corpo? Non basterebbe forse accettare di esistere e fare pace con sé stesse? È questa la premessa di un nuovo movimento.
Quando avevo diciassette anni ho sofferto di un disturbo alimentare. A riguardare a posteriori la mia situazione, mi sembra così stupida, assurda e surreale, ma certe cose sono come un vortice, in cui si rimane risucchiate senza sapere bene come succede.
Ero un’adolescente silenziosa, piuttosto insicura, in perenne affanno riguardo ai risultati scolastici e tremendamente bisognosa di approvazione. Nella mia testa volevo essere brillante e di successo, ma nella realtà mi sentivo tremendamente goffa e inadeguata. Nella mia testa volevo essere come le eroine delle storie in cui sfogavo la mia immaginazione, forti, vincenti e soprattutto bellissime, il che significa perfezione fisica. In una percezione distorta, essere magrissima equivaleva ad essere ammirata e dunque amata.
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E dunque, nonostante non ne avessi assolutamente bisogno, ho iniziato una dieta allucinante, fatta di colazioni saltate, litri di caffè per riempire i buchi di fame, grissini per pranzo e ore a fare esercizi (premessa, io odio gli sport, li ho rivalutati solo recentemente). Qualunque cosa facessi, durante ogni ora del giorno, il mio corpo, il mio peso erano un chiodo fisso, le cifre sulla bilancia perennemente impresse nella mente, i centimetri della pelle scannerizzati e giudicati in ogni momento.
Fortunatamente sono riuscita ad uscire da questa fase funesta della mia vita, ma la cosa che ho constatato e continuo a constatare con un certo stupore e un po’ di tristezza è come praticamente tutte le donne e ragazze che incontro siano ossessionate dall’idea di un fisico perfetto o come vivano un rapporto affannoso con il cibo, dove ogni minimo sgarro sembra equivalente a un peccato mortale.
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Potremmo aprire capitoli sconfinati su come ancora oggi i media mainstream facciano fatica ad affrontare le tematiche di Body Positivity in modo coerente, utilizzandone gli slogan più superficiali per creare un’apparenza di modernità ma di fatto andando comunque ad esaltare modelli e canoni che non hanno nulla di differente rispetto al passato.
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La Body Positivity è nata come un’ondata di protesta negli anni ’60 da parte dei “fat activists”, stufi di dover subire discriminazioni e soprusi causati dal loro peso. La maggiore critica che viene mossa al movimento oggi è quella di essersi trasformato in qualcosa di molto superficiale, con una serie di slogan che sembrano molto empowering, ma che alla fine esaltano come rivoluzionari corpi assolutamente nella “norma”, aderenti a un’idea di bellezza socialmente accettabile.
In questo modo chi non ha una bellezza convenzionale, chi appartiene a una minoranza, chi ha una disabilità, viene messo da parte. Ha senso vedere l’ennesima fitness influencer che su Instagram mostra i suoi “rotolini” di ciccia con l’hashtag #bodypositivity?
Con questo non voglio dire che esistano corpi più o meno meritevoli di esistere e di essere esaltati, anzi sarebbe alquanto ipocrita da parte mia, che sono una ragazza bianca, magra e con un corpo abile.
Ma resta il fatto che qualunque sia il nostro corpo, non è facile amarsi sempre, anche quando raggiungiamo un certo grado di sicurezza, viviamo comunque in un mondo che ci condiziona, in fisici che possono cambiare in modo imprevedibile, in giornate dove proprio non riusciamo a guardarci allo specchio. Il corpo rimane un chiodo fisso nelle nostre vite.
Ed è qui che entra in gioco la Body Neutrality. Questo movimento ha iniziato a prendere piede online intorno al 2015 ed è stato popolarizzato dalla blogger plus-size Gabi Gregg; di recente ne hanno parlato star come Taylor Swift e Jameela Jamil: alla base c’è la convinzione che la nostra felicità non dipende dal nostro corpo, ma che questo è semplicemente uno degli aspetti che compongono la nostra identità, da guardare con un occhio neutro.
Il focus del valore personale non è più sulla bellezza fisica, esistiamo in quanto persone e il corpo è lo strumento che ci “ospita”, da esaltare più per le sue abilità, per tutti i traguardi che ci permette di raggiungere più che per l’aspetto.
Non importa se non amiamo il nostro corpo tutti i giorni, ma amiamo il fatto che ci sostenga e ci mantenga vive. Mangiamo e facciamo esercizio per sentirci bene, non per apparire. Non importa come siamo importa quel che siamo. E forse, nella sua semplicità, questo è un messaggio veramente rivoluzionario.
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