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Bisogna per forza catalogare una relazione d’amore?

Tempo di lettura: 3 min.

Un desiderio decisamente persistente negli esseri umani è vivere l’amore con qualcuno di significativo o meglio con molti che siano significativi. E poi catalogarlo

“Sono alcuni mesi che ci frequentiamo e mi chiedevo: ma noi due cosa siamo?” Chi non ha mai detto o non si è mai sentito dire una frase del genere dal proprio partner, alzi la mano. E che paura pensarla! Figuriamoci dirla a voce alta al nostro +1.

Eh già perché è insito che chi la pronuncia, una frase del genere, è chi vuole restare. Fare, costruire, programmare, chi vuole essere catalogato, insomma, e sapere che ruolo ha nella relazione.

Ma perché? Cosa cambia? Sapere di essere il fidanzato/a invece di uno scopa-amico/a cambia i sentimenti che si mettono in gioco? No. Ciò che cambia è la prospettiva. Se sei qualcuno con cui lei o lui va a letto ogni tanto allora sei legittimato a farlo anche tu. Se sei fidanzato/a allora la relazione è seria (ndr. rido mentre lo scrivo). Continuiamo il ragionamento.

Se però sei innamorato e la risposta che ti viene schiacciata in faccia è: “Io sto bene con te ma non voglio impegnarmi”, non sei più innamorato? Ovviamente no. Alla fine della fiera, non cambia niente. Quello che cambia è la sensibilità, l’ego, l’amor proprio che può essere ferito, a morte. Per qualcuno “Io e te ci stiamo solo divertendo un po’” può essere un sollievo. Per qualcun altro, può suonare come una drammatica offesa. Se “Cosa siamo?” è la domanda ansiosa di una persona insicura e attenta a ogni segnale di amore o non amore da parte dell’altro, una risposta un po’ vaga e ambigua sarà probabilmente insufficiente a farla sentire importante e amata quanto vorrebbe.

E con questo presupposto si può andare avanti all’infinito. Dove ti giri c’è un tranello, uno scivolone. Se una coppia non è sulla stessa lunghezza d’onda parte il vero delirio d’amore quando spesso sarebbe meglio lasciare correre. Sì, anche in amore. Ma allora perché, nonostante tutti questi pericoli più che visibili e conosciuti, non riusciamo a trattenerci e a non pronunciarla quella maledetta frase? “Io e te cosa siamo?”. Perché proprio non ce la facciamo a non catalogare una relazione? Perché se non siamo qualcosa, di fatto non esistiamo.

Un desiderio decisamente persistente negli esseri umani è vivere l’amore con qualcuno di significativo o meglio con molti che siano significativi. Da bambini i nostri genitori, i nostri fratelli e sorelle, gli zii e le zie, gli adorati nonni e altri parenti. Da adulti, il nostro partner. E naturalmente gli amici, i soci, gli amanti, ecc. È impossibile immaginare un castigo più grande, per un essere umano, della solitudine e del disamore.

Schopenhauer affermava che la più grande crudeltà e il più grande castigo concepibili per l’uomo sarebbero l’essere invisibile e immortale allo stesso tempo. Suona terribile e disumano. Abbiamo bisogno di allontanare la solitudine e di vivere in comunità pertanto siamo aperti al prossimo, siamo aperti all’accoppiarci e preposti verso un altro essere umano, ci muoviamo verso quella scintilla di vita nella quale l’altro si illumina e noi con lui e per farlo dobbiamo avere un ruolo ben definito.

Un ruolo che ci possa permettere comportamenti per lo più definiti, che gli altri si aspettano da noi, che ci sono stati insegnati. L’essere umano vuole essere catalogato, perché sennò si sente trasparente. Poi una volta catalogato tornerebbe essere trasparente, ma questa è un’altra storia.  Non fate quella faccia. Ovvio che ci sono delle eccezioni. Ma anche per le pecore nere che non vogliono avere un’etichetta sulla fronte e che vorrebbero vivere la vita con più leggerezza, non c’è scampo. Anche loro vengono a loro volta etichettati come “dei farfalloni, dei paurosi, delle poco di buono, delle leggere”. Insomma, non c’è via d’uscita. Tutto va etichettato.

Che differenza c’è tra noi e i polli che vengono esposti in un supermercato? Nessuna. L’unica salvezza è dotarsi di ironia perché, tornando a Schopenhauer, “La vita umana è come un pendolo che oscilla incessantemente fra noia e dolore, con intervalli fugaci, e per di più illusori, di piacere e gioia.”

Illustrazione di Gloria Dozio – Acrimònia Studios
2560 1440 Claudia Riva
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