Claudia, Marina e Serena ci hanno raccontato il loro punto di vista
Non è certo semplice introdurre un argomento dall’eco così spaventoso. Non facile accettarne l’esistenza, prenderne consapevolezza, farci i conti e soprattutto ammetterne la plausibile vicinanza a chi ci è vicino. Soprattutto oggi. Sono 50.000 gli uomini parte dei gruppi su Telegram, nostri amici, fratelli, cugini, fidanzati, fidanzati di amiche, padri, protagonisti dell’inchiesta condotta qualche giorno fa da Wired.
50.000 membri che condividono immagini di donne, ragazze, bambine, che diventano alla velocità della luce oggetto di insulti sessisti dove il grado di eccitazione non si misura dalla nudità della persona fotografata/filmata quanto dalla condizione di dominio rispetto a materiali di cui ci si sente proprietari.
È passato appena un anno dall’approvazione all’unanimità dalla Camera della legge sul Revenge Porn (pornografia non consensuale) di cui il testo recita:
“chiunque invii, consegni, ceda, pubblichi o diffonda immagini o video di organi sessuali o a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone rappresentate, è punito con la reclusione da uno a sei anni e multa da 5.000 a 15.000 euro. La stessa pena si applica a chi, avendo ricevuto o comunque acquisito le immagini o il video, li invia, consegna, cede, pubblica o diffonde senza il consenso delle persone rappresentate al fine di recare loro nocumento”,
un anno che sembra non aver cambiato la facilità di spuntare come funghi di gruppi anonimi, non tracciabili, su piattaforme che ne avvantaggiano la diffusione e protezione.
È chiaro, quindi, che il cambiamento non avverrà per misure legali. Si tratta di un processo lento, della necessità di una voce costante a parlarne, di una rivoluzione progressiva che deve partire dal contesto culturale. In occasione della giornata internazionale della donna dicevamo: “Sfruttiamo l’occasione per dire che è necessario mettere in campo un grande sforzo collettivo, affinché l’istruzione, lo studio, la conoscenza e il rispetto verso l’altro tornino a essere al centro della vita di ogni angolo del nostro paese” e oggi siamo qui per ribadirlo.
Abbiamo chiesto a tre donne libere: Claudia Riva, producer e scrittrice, Marina Manfredi, owner di @lavuemilano e Serena Congiu, make-up artist, consapevoli e fiere del loro corpo e della loro mente, quale fosse la loro opinione sull’argomento e su quanto successo.
Hai mai fatto sexting o acconsentito alla ripresa di video sessuali che ti vedevano direttamente coinvolta?
Claudia:
Sinceramente sì e non lo vedo come un tabù. Mi è successo con il mio compagno o con chi lo è stato. Le situazioni e occasioni sono state molteplici e diverse tra loro. A volte è successo per pura mancanza fisica della persona, altre volte per gioco. L’ho sempre ritenuta una cosa divertente, ma non con tutti. Ci sono partner che ti ispirano a farlo e altri no, quindi l’ho sempre vissuta con molta naturalezza e altrettanta tranquillità. La vedo come una pratica estremamente attinente alla sessualità personale di una persona e la ritengo uno stimolante della fantasia e dell’estetica della sessualità, ma senza diventare una regola. Scegliere una particolare inquadratura, o usare la luce può far di quelle foto amatoriali delle piccole forme d’arte, anche perché non si tratta o non si è trattato nel mio caso di far vedere meramente una parte del corpo ma di cercare la bellezza di ognuno di noi.
Marina:
Mi è capitato di filmarmi con il mio fidanzato dell’epoca ed è successo che una sera ho dato la mia macchina fotografica in mano a degli amici per scattare delle foto a una festa che avevamo organizzato.
Mi ero completamente dimenticato di quel reperto. Scorrendo le foto della serata, sono inciampati in quel video. Mi hanno confessato di averlo visto, senza prendermi in giro, volevano informarmi perché si sentivano in colpa. Io sono sprofondata nella disperazione e confesso che ho avuto brutti pensieri, ma devo dire che, nel dramma, sono stata fortunata, perché mi hanno rassicurata in tutti i modi dicendomi che non mi dovevo vergognare e che in alcun modo avrebbero mai pensato di diffonderlo. Erano amici stretti di entrambi e da allora non hanno mai più fatto cenno alla cosa. Sapevano quanto ci fossi rimasta male.
Serena:
No, a parte qualche blanda foto scambiata con partner di cui fortunatamente ho potuto fidarmi. Tendenzialmente vedo la sessualità come una cosa intima e riservata, una sensazione che finora ho preferito vivere piuttosto che immortalare.
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Ti sei mai sentita in pericolo rispetto a quanto fatto?
Claudia:
Assolutamente no, forse perché l’ho fatto solo con il mio compagno del momento. Questo non esclude che nonostante ci si possa fidare ciecamente, possa accadere qualcosa. Non ho mai ritenuto che quel qualcuno potesse farne altro uso. Se poi lo ha fatto io non ne sono a conoscenza…
Marina:
Mi sono sentita in pericolo sì, perché pensavo che qualcuno avrebbe potuto scaricarlo e diffonderlo. Ma credo e spero che non sia mai successo. Da quel momento non ho mai più fatto una cosa del genere.
Serena:
Sinceramente no, per i motivi che ho spiegato prima, se dovessi scoprire che mie foto intime sono state divulgate, non proverei vergogna per la foto in sé, perché non credo che il corpo nudo e il sesso siano una cosa di cui vergognarsi, ma sarei ferita del fatto che questo materiale sia stato pubblicato per ragioni di vendetta, minaccia, umiliazione, o auto-celebrazione.
In che modo la situazione subirà una svolta, o un progressivo cambiamento?
Claudia:
Non penso che si possa arrivare a una svolta totale anche se un cambiamento lo vedo. È un progresso che si sta facendo spazio tra le donne perché che sono sempre più consapevoli del proprio corpo e anche alla coscienza di quello che possono farci. Entrare nell’intimità di una persona e renderla pubblica senza il suo consenso è una forma di violenza assoluta e imperdonabile ma allo stesso modo anche noi donne dobbiamo usare quel famoso intuito che ci attribuiscono per cercare di capire con chi si può e con chi no.
Marina:
Purtroppo non sono molto ottimista a riguardo, non vedo una svolta all’orizzonte. Di questi fatti siamo vittime da sempre.
Serena:
Veniamo bombardati dal continuo rafforzamento dello stesso messaggio dai mass-media, dai politici, dalle istituzioni religiose, dall’industria dell’intrattenimento fino ad arrivare ad ambiti più ristretti come il posto di lavoro e la famiglia stessa.
Penso che il sistema di istruzione classico debba essere integrato da forme di educazione personale e sessuale, educazione civica e psicologia, facendo prevalere i valori del rispetto e della sensibilità, dell’empatia e dell’amore, piuttosto che competizione e ricerca del successo individuale.
Crescere in un contesto di amore e rispetto aiuterebbe il bambino/a a non diventare un adulto dannoso, ma capace di mettersi in discussione in maniera costruttiva e non violenta.
Perché nel 2020 viviamo in una società ancora fortemente patriarcale che non conosce il rispetto per l’autonomia dell’altro?
Claudia:
Perché le donne sono vittime di loro stesse. Ci facciamo prendere da facili entusiasmi, crediamo nel principe azzurro, usiamo troppo profumo e poco cervello quando di cervello ne abbiamo tanto ma soprattutto non facciamo squadra. Sarà una banalità ma c’è pochissima solidarietà tra donne, non perché la stima parta dall’aspetto fisico ma perché siamo sempre molto e troppo concentrate su noi stesse. Io adoro e stimo le donne, le trovo molto più intelligenti e scaltre degli uomini, ma alcune, molte di loro non sono in grado di usare solo la loro testa per arrivare dove vogliono e così facendo si perdono in un bicchier d’acqua.
Un altro grande problema è che non arriviamo ad avere l’occasione per poter dimostrare quanto valiamo. Oscar Wilde diceva: “Date alle donne occasioni adeguate ed esse potranno fare tutto.”
Io dico: “Se l’occasione non ce la danno, prendiamocela”.
Marina:
Perché tutt’ora c’è la convinzione che il piacere femminile sia abominevole, contro natura. Per quanto si professi il femminismo, siamo ancora tutti bloccati nella concezione che la donna sia associata a qualcosa di etereo, puro e che non può provare piacere senza essere vittima di appellativi poco gradevoli. Gli uomini non hanno un corrispettivo di “troia”, il massimo che gli viene detto è “puttaniere” che comunque racchiude in sé un altro appellativo al femminile, “puttana” appunto… Siamo tutti complici di questi meccanismi, noi donne in primis.
Serena:
Esistono diverse cause economiche, politiche, sociali, culturali e religiose che io non saprei affrontare. Le cose non cambiano perché il potere non cambia, anzi, è concentrato sempre più nelle mani di pochi soggetti che hanno totale interesse che tutto rimanga come prima.
Che consiglio daresti ad una donna vittima di Revenge Porn?
Claudia:
Questa è una domanda difficile e la risposta è impossibile. In un mondo, non solo online, dove ci sono padri che vorrebbero stuprare figlie, ex fidanzati, fratelli, gente matura e adolescenti che si scambiano foto, commenti che incitano alla violenza non esistono consigli, esiste solo la fortuna di non avere a che fare con gente del genere. Se sei vittima di Revenge Porn, sei vittima di uno stupro virtuale e davanti a certe cose c’è poco da dire e pochi consigli da dispensare. Quello che è certo è che quando non si può scegliere ciò che rimane è inadeguatezza, rabbia, senso di colpa e frustrazione difficile da cancellare. Ti dicono di non perdere di vista il rispetto che qualcun altro ci ha tolto per trasformare un sopruso in forza interiore, una lama che ti ha ferito deve diventare il tuo pugnale per avere sempre più rispetto di te. Ma sono solo parole. Viverle tutte quelle emozioni negative è un’altra cosa. Ma ci si può riuscire. Ci si deve riuscire. È un obbligo farcela ed è un obbligo non rinunciare a vivere perché il mondo è pieno di stronzi e la madre dei cretini è sempre incinta.
Marina:
La vergogna può essere tale da portarti a credere che la tua vita finisca lì. Ma la vita non può e non deve finire per colpa della cattiveria e la disumanità di qualcun altro. Si cade, ma ci si deve rialzare parlandone. Non si può superare tutto da sole, bisogna cercare l’aiuto di amici, famigliari, forze dell’ordine e non in ultimo di uno psicologo per superare il down. Non si deve mai aver paura né vergogna di chiedere aiuto.
Serena:
Ripeto: di non avere paura di chiedere aiuto! Informarsi, informare, confrontarsi con altre donne nella stessa situazione, e trovare il coraggio di rispettarsi: denunciando.
Rivolgersi a psicolog*, avvocat*, polizia, reti di supporto.
Ricordandosi sempre dei propri diritti e dell’importanza della propria autonomia.
Per chiunque sentisse il bisogno di più specifiche, ecco alcuni IG account che trattano la materia in maniera approfondita:
@virginandmartyr
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@carlottavagnoli
@silviasemenzin_
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