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A proposito di Cancel Culture e del bisogno di rendere tutto così pubblico

Tempo di lettura: 6 min.

Se n’è sentito parlare tanto, sono state date molte opinioni in merito, ma qualcuno ha veramente capito cosa sia la Cancel Culture?

Dopo #metoo, anche #cancelculture è stata eletta “parola dell’anno”. Il primo, un movimento venuto alla luce in seguito alle numerose denunce di molestie sessuali subite da donne del mondo dello spettacolo.

Il secondo è un termine legato al primo perché a supporto della completa eliminazione di determinati personaggi dalle scene, per la loro sexual misconduct. La Cancel Culture è diventata poi il centro nevralgico di un dibattito internazionale dal momento in cui numerosi scrittori si sono espressi in merito, attraverso una lettera aperta su Harper’s Magazine.

Ma l’interrogativo rimane.

E per me è rimasto vivo per settimane, leggendo, documentandomi, anzi si sono moltiplicati i dubbi su cosa fosse la Cancel Culture.

 
 
 
 
 
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How are you finding joy today? Repost: @girlgaze – – – – – – Your joy is important By illustrator @mimimoffie #girlgaze

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Una definizione del concetto di Cancel Culture 

Sono riuscita a farmi un’idea più concreta sulla Cancel Culture, e necessariamente Call-out-culture, leggendo le parole di Loretta Ross che definisce la Cancel Culture come una cultura: “where people attempt to expunge anyone with whom they do not perfectly agree, rather than remain focused on those who profit from discrimination and injustice”.

Mi sono chiesta istintivamente quale fosse la differenza tra questi due concetti.

La Cancel Culture si mette in atto come reazione agli errori. Ovvero, data la maggiore esposizione e visibilità dei personaggi pubblici (e quindi la loro capacità di veicolare messaggi e influenzare le normal people) come reagisce la società agli errori commessi? Si parla di cancellazione perché è sempre più diffusa la volontà ad escludere totalmente il soggetto preso in causa da qualsiasi ambiente.

Mentre la Call-out Culture è una forma di protesta che mira alla denuncia e all’esposizione mediatica e virtuale di problemi ai quali si pensa non venga data la giusta attenzione.

Il potere della comunicazione online è fondamentale per rendere la Call-out Culture uno strumento fruibile da parte di chiunque che, tuttavia, ha una confine molto labile con la Cancel Culture. Basta veramente poco per passare dalla parte di chi vuole fare “la giustizia dell’Internet”, essendo partiti con tutte le buone intenzioni di chi avrebbe voluto dare spazio ad un determinato problema e farne prendere coscienza all’intera società. Se non fosse ancora chiaro la Cancel Culture è un’esasperazione aspra della Call-out Culture ed ha in sé aspetti tossici che non producono un discorso critico.

 
 
 
 
 
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“Dear Survivor,⠀ ⠀⠀ As a Black woman working at the D.C. Rape Crisis Center in the 1970s, I had no idea we were making history. I knew then that I was a rape and incest survivor transforming my rage into activism to help other women in my community. But it is only forty years later that I’ve developed a historical perspective that enables me to situate our work into a long legacy of Black women standing up for ourselves against those who would silence our voices and suppress history. We confirmed our realities as Black women surviving white supremacy, and even without any apologies from our oppressors or our abusers, we forged ahead to build an anti-violence movement that has rippled around the world.”⠀ ⠀⠀ — SpeakOut Speaker Loretta J. Ross (co-founder of SisterSong Women of Color Reproductive Justice Collective), excerpt from, “Believe Me: How Trusting Women Can Change The World”⠀ ⠀⠀ Artwork by @broobs.psd⠀ ⠀⠀ ⠀⠀ ⠀⠀ ⠀⠀ ⠀⠀ #rapevictim #rapesurvivor #breakthesilence #survivorloveletter #traumasurvivor #nomeansno #traumarecovery #traumahealing #lorettaross

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Cancel Culture e femminismo 

Non è mia intenzione proporre il mattone da cui tutti fuggono appena si introduce il tema del femminismo. E allora perché Cancel Culture e femminismo? Qual è il punto di contatto?

La risposta è talmente banale da essere difficilmente riconoscibile. Il punto di contatto è l’umanità. Accade molto spesso che venga a mancare la sensibilità negli essere umani, in altre parole la capacità di immedesimarsi in una situazione che capita ad altri e nella quale si dovrebbe provare ad adottare un punto di vista esterno per comprendere realmente l’accaduto.

 
 
 
 
 
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They were called “dollies” by male bosses and told that “women don’t write here.” But in 1970, the women of Newsweek got fed up. Forty six of them sued the magazine for gender discrimination in the first lawsuit of its kind—paving the way for female journalists. In 2009, as a young writer at Newsweek, neither @jessicabennett (the author of Feminist Fight Club) nor her female colleagues had heard that story, despite struggling with many of the same issues of sexism as their predecessors, albeit less overt. In fact, nobody in their office knew the story. There was no record in their library; no archives to be googled. With the help of an old feminist text by the writer Susan Brownmiller—who had briefly served as a Newsweek “mail girl” in the 1960s, alongside Nora Ephron—they tracked down the women from that lawsuit, piecing together an oral history. They reported it in secret, knowing that their editors would never approve. And they even submitted it — at first — without their names. The story would ultimately be published in Newsweek, on the 40th anniversary of that lawsuit, but not before the magazine’s editor recused himself from the process, the PR department refused to pitch it, and they were one foot out the door — prepared to walk out. That story would ultimately become the opening chapter to a book by Newsweek’s first female senior editor, Lynn Povich, which was the basis for the Amazon series #GoodGirlsRevolt. It was also inspiration for the real-life #FeministFightClub on which this account (and the book associated with it!) is based. ✊ ✊ ✊ Here’s to celebrating what’s changed, calling out what hasn’t — and remembering the women whose shoulders we stand on. For the 31 days of #womenhistorymonth, we’re highlighting the stories of feminist fight clubs you may not know, but should. #31daysofFFC

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Molte discriminazioni trovano origine nella mancata comprensione di una situazione, di uno stato d’animo. In questo senso il concetto di femminismo, superata la banalissima connessione femminismo-questioni femminili, porta avanti diverse lotte che non riguardano solo la sfera femminile ed è così che si connette alla Cancel Culture.

Ci riprovo. Il punto di contatto tra femminismo e Cancel Culture è dato un frame che vediamo ripetersi di frequente nel mondo in cui viviamo.

Oggi è diventato quasi normale vedere un altro soggetto soffrire e provare gratificazione, o meglio gioire perché “l’altro sta messo peggio” invece di cercare di migliorare sé stessi. Arrivare quasi ad ossessionarsi con la vita degli altri, in maniera indistinta, solo per potersi sentire bene sapendo che c’è chi sta peggio di noi.

Puntare alla parità a ribasso

Siamo costantemente spettatori di un mondo in cui un individuo fa qualcosa di sbagliato/negativo e, implicitamente, merita di essere eliminato, radiato, cancellato. L’aspetto fondamentale, a mio parere, che rende tossica questa Cancel Culture è la mancanza di consapevolezza.

Chi potrebbe affermare di non aver mai sbagliato?

La Call-out Culture è la risposta che state cercando se, al netto di un’analisi obiettiva, reputate comunque che il comportamento adottato sia assolutamente e insindacabilmente negativo.

E, lo prometto, arrivo alla fine di questa riflessione. 

La Cancel Culture e la Call-out Culture sono diventate note soprattutto perché messe in atto anche verso personaggi famosi. Alle volte il personaggio non può prescindere dalla persona quindi non possiamo trovarci a giustificare la persona solo perché il personaggio ha conquistato in passato la nostra simpatia o la nostra stima.

Dunque “Il libro di Woody Allen non lo compro diventa un’affermazione sensata, dietro un ragionamento consapevole di Call-out Culture.

A proposito di Cancel Culture, cancellare e rimuovere completamente dalla memoria una persona o un’azione non solo è sbagliato ma anche controproducente. Denunciare un errore e dare rilevanza ai problemi insiti nella nostra società è giusto quando si ha il fine di migliorarsi e migliorare il mondo in cui si vive. Farlo con sensibilità e pensiero critico è un dovere.

1920 1080 Myra Geraldine Meterangelo
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