L’app con il celebre logo verde da alcuni mesi si è evoluta con una nuova funzionalità. Serve per ingolfarci lo smartphone o è davvero utile a qualcosa?
Dall’estate 2023, più o meno, l’applicazione Whatsapp ha ampliato il menù dei servizi offerti ai suoi piuttosto numerosi utenti introducendo i canali. Una funzione che, non richiedendo un telecomando, può essere facilmente utilizzata – attivamente o passivamente, diciamo – con poche semplici mosse. Una funzione che però, ad una prima distratta occhiata, non sembra così rivoluzionaria o necessaria come la si vorrebbe.
Partendo dalla descrizione ufficiale, vediamo che i canali sono “un modo semplice, affidabile e privato per ricevere aggiornamenti importanti da persone e organizzazioni direttamente su WhatsApp, in una nuova tab chiamata Aggiornamenti, dove trovare lo stato e i canali che scegli di seguire separati dalle chat con amici, familiari e community”. Fin qui tutto bene. Più nel dettaglio, i canali “sono uno strumento di trasmissione con cui gli amministratori possono inviare testo, foto, video, adesivi e sondaggi. A cui accedere a un canale tramite link d’invito ricevuti in chat, via e-mail o pubblicati online”.
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In buona sostanza si tratta – Aranzulla perdonerà la semplificazione – di una evoluzione del vecchio broadcast, ossia di una trasmissione di messaggi e informazioni “uno a molti”: l’amministratore di un canale scrive e pubblica, gli altri leggono soltanto, possono interagire solo con lui e non con gli altri iscritti ed al limite reagire ai contenuti pubblicati con faccine e pollici alzati o versi. Ogni utente può creare canali a proprio piacimento, tanto per ingolfare ancora un po’ il web ed aumentare il rumore di fondo. Ad oggi tra i canali più robusti ci sono quelli delle squadre di Barcellona, Real Madrid e Manchester, che superano complessivamente i 90 milioni di follower. Seguiti da Katrina Kaif, Bad Bunny, Liverpool FC. Mark Zuckerberg si ferma a 16 milioni di seguaci, che avranno di certo apprezzato i suoi 4 contenuti (proprio 4, di numero): un piccolo paradosso visto che lui è il capo di Meta, a cui fa capo Whatsapp.
Molte testate di informazione e quotidiani hanno creato propri canali, che alla fine dei conti non sono altro che una nuova versione riveduta e involuta dei social: l’amministratore pubblica un contenuto, diciamo condivide. Gli abbonati, coloro che hanno scelto di seguire quel canale, possono vedere foto, video, leggere testi e, al limite, reagire con una emoji. Niente polemiche, niente discussioni infinite, niente querele, forse. Solo una faccina o un disegnino a manifestare approvazione o sdegno. Anche se per impostazione predefinita gli amministratori del canale possono limitare questa opzione a un insieme predefinito di reazione, eliminando quelle più inopportune. Tutti i nuovi contenuti dei canali che abbiamo scelto di seguire compariranno quindi nella zona in cui lo smartphone segnala gli aggiornamenti: il pallino verde segnalerà la presenza di contenuti non letti o stati aggiornati. Ora, stante che il Barcellona, Katrina Kaif e Mark Zuckerberg e le decine di milioni di loro follower non possono ovviamente sbagliare (come quel famoso detto sulle mosche di insegna), viene da chiedersi quale possa essere il valore aggiunto e l’utilità reale di questa innovazione.
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Che in realtà appare una scelta a-social ed un ritorno alla comunicazione unidirezionale: non condivido, ti informo, pubblico qualcosa e tu metti il pollice o il dito medio come reazione. Fine. Un passaggio da condivisione a informazione al quale hanno creduto Corriere della sera (106k followers), Sole 24 ore (93 k), Post (107k), Linkiesta (8.7k), Vanity Fair (134k), Fanpage (821k), Rainews (749K), Avvenire (24k), Libero (26k), Factanza Media (7,9k) ed anche altri.
Aleggia comunque il dubbio di fondo sulla effettiva utilità dello strumento. Gli aggiornamento dei canali Whatsapp infatti, generando ulteriore eco di contenuti peraltro già presenti altrove, andranno a sommarsi alle notifiche e agli aggiornamenti che riceviamo sullo smartphone da tutti gli altri social, X, Threads, Facebook, Telegram, andando a creare altro caos e smog comunicativo, che avvantaggia solo fake news e bufale più o meno spudorate. Oppure no?
Illustrazione di Gloria Dozio – Acrimònia Studios